Alfa Pietta. Forme dell’infinito
A cura di: Ivana D'Agostino
Alfa Pietta presenta un ciclo di opere recenti, che materializzano i risultati di una lunga riflessione sulle possibilità espressive della pittura, intesa come strumento privilegiato per misurare il mondo e, soprattutto, evidenziare l’incalzante dialogo tra finito e infinito. Alfa Pietta
Forme dell’infinito
Ogni segno e ogni colore raggiungono la propria qualità soltanto quando, nella loro estrema determinatezza, si caricano di contenuti o significati infiniti e così conseguono la stessa forza d’appello di tutti i punti dell’orizzonte dell’essere.
Giulio Carlo Argan, Salvezza e caduta nell’arte moderna
Analizzando il lungo percorso operativo che Alfa Pietta ha costruito in oltre un quarantennio di intensa attività, si comprende che quella attuata con una coerenza stringente, eppure sempre sensibile agli stimoli delle contemporanee sperimentazioni, è una riflessione sulla pittura, intesa come strumento di conoscenza, come possibilità di misurare il mondo ed evidenziare l’incalzante dialogo tra finito e infinito. È, infatti, su queste premesse che l’artista ha elaborato il suo linguaggio, in cui le esperienze della vita vissuta si combinano tra loro per poi sublimarsi in velature cromatiche impalpabili ma intense e segni lievi ma veementi, capaci di evocare segrete analogie tra visibile e invisibile. Un linguaggio complesso quindi, materializzatosi però con una progressiva ricerca di elementarità, che fin dall’inizio ha qualificato ogni processo di concretizzazione formale, lasciando emergere la necessità di un andare in profondità, per dissolvere il limite del finito e al tempo stesso dare forma all’infinito.
Il risultato raggiunto non è mai ottico, ma percettivo e la tessitura cromatica non evidenzia né i caratteri di un rigido impianto geometrico, né quelli di una gestualità incline a riassumere nella totalità dell’azione le motivazioni dell’operatività creativa. Assume invece gli accenti e le modulazioni di una pittura che ha trovato la coscienza di sé e la rende manifesta con la difficile ricerca di un equilibrio tra l’esibizione della sua struttura visiva e il rimando continuo a una pervasiva sensitività.
Pietta procede seguendo le regole di un processo di graduale essenzialità, al punto che ha completamente superato ogni esigenza di rappresentazione, di narrazione. La pittura non descrive, piuttosto rivela: forme primarie su cui il colore si adagia fluidamente rimandano a quell’eterna bellezza che nasce da un’arcana armonia. Bellezza e armonia che nulla hanno a che vedere con la severità di certa pittura minimalista: il rigore, infatti, si stempera in un cromatismo rarefatto, mentre i segni, pur rimandando a precisi rapporti tra forma, colore e superficie, lasciano presagire una pluralità di significati non sempre razionalmente esplicabili. Sembra quasi di poter vedere la mano dell’artista che si muove delicata e decisa, tanto da rendere percepibile il serrato confronto tra materia cromatica e superficie, che si dispiega inaspettatamente, come ad occupare e definire la totalità dello spazio. I segni rimangono sospesi, quasi fluttuanti prima di adagiarsi leggeri, mentre il colore, bianco diafano saturato di cilestrini e grigi, assorbe ogni pur minima variazione di scurezza e densità, per restituirla in luminosità, che riempie le profondità ed evidenzia la qualità tattile delle superfici, accresciuta dalla studiata calibratura delle differenze di tocco, a creare tessiture vibranti con il trascorrere inarrestabile della luce, moltiplicare la forza della geometria elementare e ampliare l’incommensurabile estensione dello spazio circostante. Le opere si presentano allora come la messa in forma dello spazio, seguendo le complesse equazioni del rapporto tra segno, colore e luce, per aprire un varco verso l’invisibile, lì dove la realtà finita si incontra e si fonde con quella infinita.
Loredana Rea
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