Angela Rapio “Scritture strappate”
A cura di: Massimo Bignardi
In mostra venti opere su carta, articolati ‘collages’ realizzati dall’artista pugliese nel 2015 e proposte nelle due significative personali allestite a Rimini e al Fondo Regionale d’Arte Contemporanea di Baronissi tra il 2015 e il 2016. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Mercoledì 15 marzo 2017, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, sarà inaugurata la mostra personale di Angela Rapio, dal titolo “Scritture strappate”, secondo appuntamento della rassegna “Corrispondenze assonanti”; quattro proposte di linguaggio sul tema del frammento, dello strappo, della ‘memoria’, curata da Massimo Bignardi.
Scritture strappate
Massimo Bignardi
La metafora della materia, il suo offrirsi unicamente alla mente, è stato il deterrente che ha spinto Angela Rapio a porsi la domanda riguardo un possibile destino tridimensionale, dunque plastico, da dare alle sue composizioni: voglio dire che i coni in ceramica e poi in vetroresina, finanche in cemento, esposti nelle diverse dimensioni in occasione della personale titolata Radici@radice, tenutasi al Museo dell’Orto Botanico dell’Università di Siena nel 2014, erano risposte oggettuali, scultoree alle perlustrazioni in superficie che ella ha fatto sui suoi precedenti lavori.
Tra i due momenti c’è stato certamente il movimento di una frana che in termini esistenziali l’ha spinta al silenzio: ma è vero anche che in quei momenti il corpo, la materia la loro assenza o presenza si fa dato essenziale, necessità. È dunque lecito che le mani agguantino l’argilla e la pieghino al proprio volere; che il colore non sia quello dell’occhio bensì affidato al destino del fuoco, agli spessori “cristallini” delle resine, al loro volubile “linguaggio”; che la forma,nella dimensione oggettuale, sia preponderante.
Il passo verso queste carte fossili, come l’artista ha voluto titolare il ciclo di lavori che ha realizzato tra il 2015 e il 2016, è stato breve. Non perché abbia esemplificato e ridotto a forma-sagoma gli spessori delle tridimensionali radici, tanto meno peril facile tentativo di dare risposta all’idea di materia e di costruzione attraverso una pratica che richiama nella sua sostanza il collage.
Angela si è posta una domanda sulla genesi di queste geografie dell’emozione, vale a dire sul personale abbecedario di segni con i quali traccia,consapevolmente o accogliendo l’inarrestabile fluire del destino, giorno dopo giorno la sua mappa esistenziale, la sua storia nelle storie dell’universo, con la fermezza che lei (il suo occhio) è lì pronta a testimoniare il presente.
Frammenti di carte, discontinue sia per icolori, sia per le forme, sia per gli spessori dei supporti, dalle veline a quelli più grezzi e ruvidi delle carte per acquerello, costituiscono questo attuale repertorio. Il risultato è sotto i nostri occhi: pagine di una estrema delicatezza ove l’occhio trova difficoltà a seguire l’inquieta trascrizione di segni e di scritture, ove il segno a volte si sfuma fino a disperdersi nell’acquosità delle tinte, nelle gocce che scivolano dando luogo a grovigli, a siepi, ad alghe che agitano la superficie, trattenendo quel sapore di vissuto che è proprio del frammento di carta.Per esse svolge il lessico del caso, attingendo alle prime esperienze surrealiste di Ernst, nelle quali l’artista tedesco sperimentava la capacità del dripping, poi captato e reso linguaggio da Pollock; come anche la misura della trasparenza pensando alle cartedi Matisse, oppure di Joan Mirò, di Richard Hamilton, fino a quelledi Maria Lai.
L’artista presenta queste opere sospese alla parete nella loro nudità, come di chi allinea al filo che corre nel cieloi lini, le lenzuola che l’hanno accolta ed avvolta nel transito del sonno: lascia che l’impronta del tempo sia libera da qualsiasi volontà di ordinare la narrazione, da un prima e da un dopo, e conservi, come una sindone, luoghi e territori della propria esistenziale identità.
Mercoledì 15 marzo 2017, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, sarà inaugurata la mostra personale di Angela Rapio, dal titolo “Scritture strappate”, secondo appuntamento della rassegna “Corrispondenze assonanti”; quattro proposte di linguaggio sul tema del frammento, dello strappo, della ‘memoria’, curata da Massimo Bignardi.
Scritture strappate
Massimo Bignardi
La metafora della materia, il suo offrirsi unicamente alla mente, è stato il deterrente che ha spinto Angela Rapio a porsi la domanda riguardo un possibile destino tridimensionale, dunque plastico, da dare alle sue composizioni: voglio dire che i coni in ceramica e poi in vetroresina, finanche in cemento, esposti nelle diverse dimensioni in occasione della personale titolata Radici@radice, tenutasi al Museo dell’Orto Botanico dell’Università di Siena nel 2014, erano risposte oggettuali, scultoree alle perlustrazioni in superficie che ella ha fatto sui suoi precedenti lavori.
Tra i due momenti c’è stato certamente il movimento di una frana che in termini esistenziali l’ha spinta al silenzio: ma è vero anche che in quei momenti il corpo, la materia la loro assenza o presenza si fa dato essenziale, necessità. È dunque lecito che le mani agguantino l’argilla e la pieghino al proprio volere; che il colore non sia quello dell’occhio bensì affidato al destino del fuoco, agli spessori “cristallini” delle resine, al loro volubile “linguaggio”; che la forma,nella dimensione oggettuale, sia preponderante.
Il passo verso queste carte fossili, come l’artista ha voluto titolare il ciclo di lavori che ha realizzato tra il 2015 e il 2016, è stato breve. Non perché abbia esemplificato e ridotto a forma-sagoma gli spessori delle tridimensionali radici, tanto meno peril facile tentativo di dare risposta all’idea di materia e di costruzione attraverso una pratica che richiama nella sua sostanza il collage.
Angela si è posta una domanda sulla genesi di queste geografie dell’emozione, vale a dire sul personale abbecedario di segni con i quali traccia,consapevolmente o accogliendo l’inarrestabile fluire del destino, giorno dopo giorno la sua mappa esistenziale, la sua storia nelle storie dell’universo, con la fermezza che lei (il suo occhio) è lì pronta a testimoniare il presente.
Frammenti di carte, discontinue sia per icolori, sia per le forme, sia per gli spessori dei supporti, dalle veline a quelli più grezzi e ruvidi delle carte per acquerello, costituiscono questo attuale repertorio. Il risultato è sotto i nostri occhi: pagine di una estrema delicatezza ove l’occhio trova difficoltà a seguire l’inquieta trascrizione di segni e di scritture, ove il segno a volte si sfuma fino a disperdersi nell’acquosità delle tinte, nelle gocce che scivolano dando luogo a grovigli, a siepi, ad alghe che agitano la superficie, trattenendo quel sapore di vissuto che è proprio del frammento di carta.Per esse svolge il lessico del caso, attingendo alle prime esperienze surrealiste di Ernst, nelle quali l’artista tedesco sperimentava la capacità del dripping, poi captato e reso linguaggio da Pollock; come anche la misura della trasparenza pensando alle cartedi Matisse, oppure di Joan Mirò, di Richard Hamilton, fino a quelledi Maria Lai.
L’artista presenta queste opere sospese alla parete nella loro nudità, come di chi allinea al filo che corre nel cieloi lini, le lenzuola che l’hanno accolta ed avvolta nel transito del sonno: lascia che l’impronta del tempo sia libera da qualsiasi volontà di ordinare la narrazione, da un prima e da un dopo, e conservi, come una sindone, luoghi e territori della propria esistenziale identità.