11/01/2005  al 28/01/2005

ANNA DORSA: Territori della memoria fluttuante

A cura di: Ivana D'Agostino

ANNA DORSA: Territori della memoria fluttuante Sai, qui a San Paolo - mi dice Anna nelle lunghe telefonate e nelle notizie che ci scambiamo con la posta elettronica tra Roma e il Brasile – c’è un quartiere interamente giapponese dove compro la carta di riso con cui dò forma ai miei territori della memoria fluttuante fatti di cartapesta. E’ straordinario per me pensare ai rotoli di carta di varia caratura assiepati in quei negozi, tra i quali la carta più sottile usata per scrivere haiku di poesie e preghiere, dalla Dorsa è utilizzata per stampare al computer immagini dedotte dal mondo dell’informazione mediatica. Operazione questa che si presta per intriganti connubi tra innovazione e tradizione interessanti per le conseguenze che se ne deducono nell’ambito della ricerca. Coniugare linguaggi, materiali e forme all’apparenza incongruenti tra loro è pratica costante della Dorsa perlomeno dall’89, quando a Roma presso lo spazio espositivo dell’Ambasciata brasiliana mostrò un’installazione in organza, territorio di affioramenti per una personale rivisitazione di Andrea Del Castagno. Già allora risultava evidente, come nella successiva mostra di Rio de Janeiro del ’91, le cui opere pittoriche destituite della forma canonica si sviluppavano su pareti contigue, l’accentuato interesse spaziale associato alla volontà di fare uscire la pittura dai limiti tradizionali. Parlare di questa artista vuol dire necessariamente mettere in gioco la pittura, perché di una pittrice si tratta. Di una pittrice, tuttavia, costantemente sollecitata dall’urgenza di rinnovare il linguaggio pittorico proiettandolo al di fuori di confini prestabiliti. Anche in questa mostra romana riaffiora la memoria della pittura manierista del Pontormo come immagine universale del dolore iconizzato nel volto della Vergine della Deposizione della chiesa di Santa Felicita a Firenze: un manifesto della grande pittura che è anche memoria dell’olocausto divino, nell’installazione della Dorsa rimescolato e fuso con le tante immagini documentate attraverso i media dei più recenti olocausti dell’umanità perpetrati dal terrorismo, dalle guerre in Kossovo, in Afghanistan, in Iraq. Tragedia divina e umana coesistono sullo stesso piano riprodotte in immagini che coniugano insieme il linguaggio alto della pittura con l’informazione quotidiana. L’uno e l’altro riprodotti meccanicamente attraverso la stampa laser sui sottilissimi fogli di carta di riso di cui si è detto, più tradizionalmente utilizzati per gli ideogrammi degli haiku della poesia giapponese. Le immagini strappate, sovrapposte, nei rimandi continui tra celazione e affioramento, intarsiano insieme l’umana tragedia e il supremo sacrificio divino nelle molteplici varianti consentite con le riproduzioni meccaniche ottenute con la stampante e le deformazioni e alterazioni dei soggetti resi possibili dall’elaborazione al computer. Le forme plastiche fluttuanti della installazione della Dorsa presentata ad Arte Fuori Centro utilizzano le nuove tecnologie combinandole con l’antica tradizione della cartapesta, con questo proseguendo nel solco di un sperimentazione ormai di antica data, che la vede costantemente versata in una ricerca condotta al limite di linguaggi all’apparenza non omologabili. Gli elementi tridimensionali di questa installazione di cartapesta organizzano lo spazio attraverso forme mobili, ad ognuna delle quali è affidata una parte della narrazione. Un racconto su sofferenza e dolore di Cristo e degli uomini che ambisce a superare i limiti del tempo reale dell’informazione mediatica, di cui comunque si alimenta, per l’accesso ad una superiore memoria universale rivelata per singole parti: parti fluttuanti, appunto, elementi leggeri come mobiles nello spazio, che rivelano-nascondono sulle e tra le forme di cartapesta verità sempre mutevoli di eventi e di volti; citazioni del trascendente come delle quotidiane cronache di guerra ossessivamente diffuse dall’informazione dei media. 2) La cartapesta di questa installazione solidifica il concetto di pittura in libere forme disseminate riconvertendosi inoltre anche in poesia essendo fatta di carta di riso. Se agli haiku la cultura giapponese affida versi poetici, che appesi agli alberi sono mossi e trasportati dal vento, alla sua memoria fluttuante la Dorsa consegna la personale riflessione su di un mondo, il nostro, insanguinato da guerre che anche noi, come lei, non vogliamo né condividiamo. Riflessioni, le sue, di cui ci fa partecipi con immagini sfocate e mobili che non urlano principi né pronunciano dichiarazioni perentorie. Si tratta se mai di affioramenti, di appunti per dimenticare. Per dimenticare e nello stesso tempo ricordare, come avviene con l’elemento plastico disposto a terra , che se rammenta, come fa, un burka afghano nella forma e nel colore, ricorda anche negli azzurri oltremare e cobalto usati i pigmenti dalla Dorsa da sempre privilegiati come luogo della personale irrinunciabile memoria.

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