Balàzs Berzsenyi “Inevitabile rivoluzione”
A cura di: Loredana Finicelli
---L’installazione di Berzsenyi, scultore ungherese, è un lavoro complesso, dai significati simbolici stratificati, un momento in cui la magnificenza decorativa orientale e il rigorismo strutturale d'occidente entrano in contatto dando vita a una esperienza estetica di grande suggestione visionaria.-----------------------------------------------------
“Inevitabile rivoluzione”, Installazione in 20 elementi
Allegoria del potere senza tempo
Il potere senza tempo e senza storia è l’oggetto di indagine della installazione Inevitabile rivoluzione che Balàzs Berzsenyi allestisce disponendo in campo oltre venti elementi. Un lavoro che misura diversi metri, dalla natura complessa e dai molteplici significati simbolici; dai rimandi stratificati che si articolano intorno a una macchina magnificente che invade lo spazio – e la mente dello spettatore – con la forza della sua monumentalità suggestiva e la potenza di un gioco cromatico teso a esaltare il valore visionario della composizione.
Un’opera sorprendente, a metà strada tra il gioco di prestigio e la visione fantasmatica, uno spaccato di storia senza tempo né geografia dove si ripropone uguale a se stesso il destino umano fatto di uomini potenti e masse anonime e succubi, rese cieche dal gioco immaginifico e rituale della rappresentazione.
Ori come apparati antichi, cesellati da abilissimi mastri di corte, e riti lontani, dalle origini misteriose e imperscrutabili invadono la scena di questa allegoria del potere, una sfilata lenta ma incalzante di uomini solo apparentemente uguali, ma differenti per rango e consapevolezza: un carro che procede dalla notte dei tempi e che ha le sembianze di una processione sacra sotto la quale si maschera l’illusione collettiva di giustizia e magnanimità di chi governa.
Berzsenyi è uno scultore dal mestiere antico e cristallino; ha la forza del mago nel cesellare le superfici con una dedizione sapiente e inarrivabile, la potenza del demiurgo nel plasmare il metallo, piegarlo in fogge articolate e inattese; e, da ungherese quale è, oriente di confine, cavalcavia di religioni e culture, Berzsenyi racconta il mondo attraverso le fiabe, che, di norma, non hanno età ma garantiscono un lieto fine. In questo caso, una favola e una messa in scena, dove oltre alla suggestione domina un possesso impressionante delle tecniche scultoree, capaci di far interagire e tenere insieme in un unico complesso organismo, materiali nobili e antichi, materie industriali, residui tecnologici e detriti, sia tecnici che umani.
In questa allegoria viva, quasi una traduzione in metallo degli antichi tableaux vivants, lo scultore coniuga decorativismo e solennità e ci narra una parabola umana affidandosi alla forza abbagliante della persuasione che alla sacra e pagana rappresentazione unisce una musica onirica e un assetto epico: in questo spazio senza coordinate, la tradizione, nel punto più alto della sua manifestazione, incrocia la modernità e si rinnova narrando una verità universale che va al di là di ogni spazio e di ogni tempo.