Alessandro Casanova “La vie en rose"
A cura di: Pericle Guaglianone
ALESSANDRO CASANOVA. TALLONARE IL CORPO
È ciò che avviene con gli oltraggi dismorfici perpetrati da uno sguardo wide shut come quello di Alessandro Casanova, lungo i “flessi erotici” rincorsi (da bravo flâneur, anzi, tallonati)[2] fino al ribaltamento del “vederci chiaro” nell’abisso della wholeness: negli inattesi luoghi-chiave – distorti eppure innalzati, come in volo – di un qui-altrove ordito a colpi di mouse.
Le immagini – si sa –, come le indagini, vanno de-pistate: se non altro perché spesso conducono semplicemente (tautologicamente) dove.
E quel dove ce lo troviamo davanti, attraverso un corpo premurosamente “diffuso” – o per meglio dire, disseminato –, nel je ne sais quoi del derma che diventa spalancata geometria in itinere; nelle giunture, nelle cavità, negli orifizi che appaiono – addirittura – insenature, sentieri, improvvise radure[3]. Per giunta, senza il ricorso facile facile ad un’“ipnosi ultratecnologica” che ne possa annacquare quel dove[4]; proponendo, semmai, attraverso il trionfo del disegno, l’inevasa interrogazione umanistica sul primato tra costruzione (dello spazio) e composizione (della figura)[5].
Viene da chiedersi dove dovrebbe pur annidarsi, qui, il ruggito vitalistico di un’estetica del corpulento che, oltretutto – neanche fosse così a buon mercato la celebre “stella danzante” partorita dal filosofo –, si smercia ogni volta addirittura per “gaia”; e dove, invece, la dilagante – ma ormai scalcinata – retorica del livido e del colpo ferire, troppo spesso “sublime” soltanto perché sub-limen.
La risposta è che siamo fuori di noi, come stoffa[6], come in un racconto di viaggio, silenziosamente ri-piegati e dis-piegati sul bordo malinconico delle (o, meglio, addosso alle) mille e più feritoie che in questa tettonica dell’anatomia dispersa[7] lampeggiano come i punti di fuga di un’hétérotopie dell’occhio prensile[8] (“Non vi è immagine del corpo senza immaginazione della sua apertura”[9]), lungo i quali – a terra, ma rigorosamente en plein air – denudarsi è un po’ dissolversi. Anzi: ora e mai più (“a voi”, non “a me”, gli occhi), dissolversi dove.
Pericle Guaglianone
[1] Per il concetto di dépense, di ardua traduzione (servirebbe una parola a metà strada tra eccedenza e dispersione, entrambe comunque preferibili a spreco), cfr. G. Bataille, Il limite dell’utile, Milano 2000, pp. 10 e segg.
[2] Il punto di flesso è quello in cui una curva (una parabola) cambia di concavità.
Sul concetto di “flesso erotico”, derivante dalla tradizione araba, cfr. M. Chebel, Il libro delle seduzioni, Torino 2001; cfr. D. Ranieri, De erotographia. Nuove scritture del desiderio, Roma 2004, pp. 93-116.
Sul concetto di “flesso erotico”, derivante dalla tradizione araba, cfr. M. Chebel, Il libro delle seduzioni, Torino 2001; cfr. D. Ranieri, De erotographia. Nuove scritture del desiderio, Roma 2004, pp. 93-116.
[3] A proposito del ripensamento della corporeità compiuto dall’arte contemporanea, cfr. F. Alfano Maglietti (FAM) Identità mutanti. Dalla piega alla piaga: esseri delle contaminazioni contemporanee, Genova 1997; cfr. A. Vettese, Dal corpo chiuso al corpo diffuso, in: F. Poli, a c. di, Arte contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a oggi, Milano 2003, pp. 188-221; cfr. M. Senaldi, Enjoy! Il godimento estetico, Roma 2003, pp. 125-139.
[4] Sulla difficoltà di “pensare a qualcosa di più (letteralmente) reazionario” di un’arte concepita “come variante metaforica, come ‘licenza poetica’ della Tecnica”, cfr. M. Carboni, L’ipnosi ultratecnologica, in Il sublime è ora. Saggio sulle estetiche contemporanee, Roma 2003, pp. 114-123.
[5] Cfr. E. Panofsky, La prospettiva come “forma simbolica”, Milano 1995, pp. 54-77.
[6] “I corpi sono diventati rotoli di stoffa da spiegare e ripiegare l’uno sull’altro […]. La lingua che mi pervade e mi copre, il sesso che mi penetra e mi indossa, la bocca che mi succhia e mi spoglia, tutto è metafora vestimentale”. M. Perniola, Disgusti. Le nuove tendenze estetiche, Genova 1998, p. 13.
[7] A proposito del “fuggire se stessi” dei soggetti malinconici, ovvero del nesso tra malinconia ed erranza, cfr. F. Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, Roma 2004, pp. 259-60.
[8] Per il concetto di hétérotopie, “[...] disordine che fa scintillare i frammenti di un gran numero di ordini possibili, nella dimensione senza legge né geometria dell’eteroclito [...]”, cfr. M. Foucault, Le parole e le cose, Paris 1966; cfr. L. Gabellone, L’oggetto surrealista. Il testo, la città, l’oggetto in Breton, Torino 1977, pp. 66-72.
[9] G. Didi-Huberman, Aprire Venere. Nudità, sogno, crudeltà, Torino 2001, p. 77.
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