ANGELA CORTI: Tessere frammenti di pietra
A cura di: Ivana D'Agostino
"Paradigma rimane il Partenone. Ma a qualcuno piace la pioggia, l'incertezza, le pieghe nascoste nelle idee". Con questa frase Fausto Melotti sintetizza il pensiero sotteso alla costruzione teorica e operativa della sua complessa ricerca artistica, indicando la strada di un percorso alternativo nell'ambito dell'arte italiana durante gli anni successivi la seconda guerra mondiale, per superare la necessità di un'impaginazione formale di radice inequivocabilmente classica.
Seguire le pieghe nascoste nelle idee diventa allora il filo che lega tenacemente esperienze molto differenti, sviluppatesi a partire dalla seconda metà del XX secolo, nell'intento di creare possibilità di concreto e costruttivo confronto tra proposizioni antitetiche.
Alla scultura, intesa nella sua accezione tradizionale, nel corso degli anni si sono, infatti, affiancate nuove metodologie operative, che il più delle volte hanno provato a scompaginare in maniera irreversibile l'impostazione classica, finendo con il rendere sempre più mobile e sottile il confine tra i differenti linguaggi legati alla contemporaneità. Sotto la spinta di nuove esigenze espressive, la pratica scultorea ha mutato spesso il suo tradizionale codice semantico e i criteri formali, che per secoli ne hanno intrinsecamente qualificato lo sviluppo. Si è passati dall'uso pressoché esclusivo di materie convenzionali e forme tradizionali all'utilizzo di materiali anomali e forme destrutturate, lasciando comunque inalterata la centralità visiva dell'opera e soprattutto la continua interazione con lo spazio.
In questo clima fertile di discussioni teoriche e di soluzioni formali innovative affondano le radici del linguaggio di Angela Corti, che proprio nella necessità di spingersi fin dentro le pieghe oscure delle cose, per esprimere la profondità dell'esperienza interiore, trova le ragioni del suo essere.
Partendo da una serrata riflessione sul senso del fare scultura, maturato in una società che è sempre meno attenta a percepire i segnali di disagio di chi, per sua natura o volontà, non riesce a riconoscersi in essa e cerca con i mezzi che gli si offrono di esprimere il sentimento di continua transitorietà che ha caratterizzato, e ancora caratterizza, questo nostro tempo, la giovane artista bresciana arriva ad analizzare, attraverso la ricercata contaminazione con pratiche cosiddette minori, e per tanto ritenute ancora troppo spesso secondarie all'interno del discorso sull'arte, problematiche considerate tradizionalmente femminili, come la narrazione dell'inesplicabilità della vita, costruita a partire da un punto di vista esclusivamente soggettivo.
L'arte rappresenta la possibilità di mettere a nudo se stessa, le inquietudini, le incertezze, le difficoltà di una quotidianità che si libera da ogni prosaicità e tentazione retorica.
A partire dalla seconda metà degli anni '90, l'elaborazione di elementi della dimensione quotidiana rappresenta per Corti il processo centrale dell'opera, al punto che è la pietra, scelta come materia d'elezione, a suggerire il filo sottile di una narrazione a cui affidarsi. Superando la preoccupazione di incorrere in un'eccessiva semplificazione, che rischierebbe di banalizzare la profonda articolazione del sentire, la pietra stessa sembra trasformarsi in tela leggera su cui appuntare i brandelli sparsi degli accadimenti intimi e segreti dell'esistenza. La dura superficie lapidea acquista, infatti, improvvisi palpiti, a palesare emblematicamente le energie e le forze che emergono nella pratica quotidiana della vita.
Se la materia è quella tradizionale del marmo o della pietra calcarea, la forma abbandona invece l'assolutezza della classicità, per presentarsi disgregata, ridotta in frantumi e i pezzi, sapientemente creati dal gesto preciso di chi non ha timore di rompere preesistenti equilibri, sono poi ricomposti, uniti l'uno all'altro attraverso una certosina tessitura di fili metallici, spaghi o corde.
Il lavoro di tessitura a legare insieme le schegge dure e ruvide, riallacciando i nodi e districando la matassa dei fili avviluppati, permette di realizzare una simbolica tela, su cui cucire e ricucire i frammenti di un racconto intimo per materializzare, trasfigurandole, le tensioni esistenziali e la fragile provvisorietà della realtà.
Il gesto simbolico della tessitura, intesa non solo come metafora del proprio linguaggio, quanto piuttosto come essenza del processo di creatività, ha il compito di rendere visibile il muto dialogo con sé e tra sé, tanto che la scultura diventa l'imprescindibile strumento per trasformare simbolicamente le tracce del vissuto quotidiano e della sua memoria in stimoli sempre diversi, perché continuamente rinnovati nella loro straordinaria normalità.
Nella complessità di questo percorso di ricerca, che Angela Corti va costruendo con tenacia e metodicità, a destare interesse è proprio l'intrinseca femminilità, che si materializza non solo nella scelta delle modalità operative, ma anche, e soprattutto, nella volontà di offrire attraverso l'arte un'irrinunciabile possibilità di sospendere il fluire dell'esistenza, anche solo per un breve istante, per tornare ad assaporare l'intensità emotiva di quegli eventi, tanto piccoli da apparire a qualcuno persino insignificanti, che costituiscono la struttura portante della quotidianità di ognuno.
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