Il 17/05/2011

Elisabetta Diamanti. Parentales exuviae

A cura di: Ivana D'Agostino

Elisabetta Diamanti.  Parentales exuviae Per questa esposizione Elisabetta Diamanti propone serie di lavori profondamente evocativi, preziosi e al tempo stesso essenziali, su cui sta lavorando da alcuni anni con la determinazione che contraddistingue il suo impegno. Rappresentano il raggiungimento della maturità e contemporaneamente l’apertura verso nuove ricerche, che partono dalla specificità del linguaggio calcografico, di cui è interprete di grande raffinatezza, per andare oltre. Quelli scelti per questa esposizione sono fogli incisi, ma anche tele di lino o canapa che raccontano attraverso significativi frammenti una storia intima.

 
17 maggio  -  3 giugno 2011
 
PARENTALES EXUVIAE
custodire tracce di sé
di Loredana Rea
 
Il tema del guscio che protegge e nasconde la fragilità dell’esistenza da poco più di un decennio offre ineludibili stimoli alla ricerca di Elisabetta Diamanti, che partita dai bozzoli delle crisalidi era arrivata alle exuviae degli artropodi, materializzando nella raffinatezza espressiva legata alle tecniche calcografiche, di cui conosce a fondo i segreti, il desiderio di indagare attraverso la persistenza di forme primarie il fluire della vita. Più recentemente l’attenzione si è spostata sui propri indumenti, intesi come fragile buccia che protegge dal mondo e rimanda agli altri come in uno specchio trasfigurato l’immagine di sé. Intorno a essi ha creato una serie di lavori evocativi e al tempo stesso essenziali, in cui le impronte di una veste da bambina e della biancheria intima da adulta si sono offerte allo sguardo come seconda pelle, epidermide delicata su cui le pulsioni interiori si sono materializzate e ha preso corpo la coscienza di sé.
Per la serie di opere elaborate in quest’ultimo anno, che l’artista stessa ha denominato Parentales Exuviae, scegliendo ancora una volta il latino per sintetizzarne la complessità, le immagini di vestiti che le sono appartenuti si alternano sapientemente a quelle degli abiti dei suoi figli quando erano bambini, a costruire un dialogo serrato eppure appena sussurrato, attraverso cui le trame dell’esperienza quotidiana si annodano al percorso di crescita artistica.
Sono lavori che tradiscono la consapevolezza di una raggiunta maturità creativa e la necessità di un’apertura verso nuove sperimentazioni, per cercare contaminazioni con linguaggi di altra natura, nell’intento di forzare ulteriormente i limiti imposti dalla specificità dell’incisione, che pure rimane l’origine di ogni suo progetto. La sostanza stessa del segno inciso - il suo farsi, il suo continuo proliferare, il suo comporsi e scomporsi per suggerire lo sviluppo dello spazio, cadenzare la tessitura di orditi e trame, tracciare immagini o scandire flussi di energie differenti - rappresenta inequivocabilmente l’essenza del suo processo creativo. Ma per la comprensione del percorso che Diamanti va delineando con una determinazione che lascia presagire l’importanza dei suoi prossimi sviluppi, non si può né deve sottovalutare la forza propulsiva delle esperienze maturate a partire dalla seconda metà degli anni novanta: la pittura, la scultura, la ceramica, il libro d’artista, l’installazione rappresentano, infatti, l’inevitabile passaggio verso altre possibilità di mettere alla prova se stessa e di interrogarsi sulle ragioni del proprio agire.
Quelli realizzati per questa esposizione sono fogli incisi, che mettono in gioco contemporaneamente procedimenti diversi, ma anche tele di lino e canapa, recuperate dalla quotidianità familiare, in cui la calcografia si confronta con i segni cuciti. Su di essi le impronte di vestitini, di camiciole, di grembiulini, di canottiere, di culottine, di slip e reggiseno, ma anche frammenti di precedenti incisioni (alcune realizzate per gioco dai due figli ancora piccoli in occasione di ricorrenze speciali), lasciano intravedere la complessa stratificazione sottesa alla costruzione di ogni singola lastra. La cera molle, il bulino, l’acquatinta e l’acquaforte, utilizzati con modalità spesso inaspettate, contribuiscono in maniera significativa a lasciare affiorare continui rimandi al vissuto e creare risonanze e tensioni emotive che si intrecciano sapientemente, materializzandosi in un crescendo armonioso, tanto che le immagini degli abiti diventano emblematicamente intense topografie dell’anima, pervase da quella fievole poesia che di tanto in tanto percorre la quotidiana esistenza.
Le trame della carta porosa e della stoffa sottile assorbono e restituiscono i frammenti di una storia intima, che si dispiegano con ritmi sempre diversi, talvolta sfiorandosi fin quasi a sovrapporsi, per far emergere gli accenni appena percettibili di pensieri e silenzi, di parole e gesti, di inquietudini e aspettative, di attese e disinganni, di desideri e illusioni.
La necessità di fissare l’impressione di un indumento appartenuto a sé o ai suoi figli rappresenta, infatti, per Elisabetta Diamanti la possibilità di custodire le tracce e preservare la memoria di esistenze legate indissolubilmente, ma anche la necessità di sconfiggere la precarietà che le sostanzia. Il proposito è riflettere sull’indissolubile legame tra la caducità della quotidianità e l’assoluta inarrestabilità del divenire, per affrontare le incertezze, le gioie e le difficoltà di vivere.
 

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