10/09/2002  al 27/09/2002

Emanuele Gabellini "The best in september"

A cura di: Guglielmo Gigliotti

Emanuele Gabellini "The best in september" Emanuele Gabellini dipinge nell’era dell’immagine pervasiva, totale, tecnologica e possibilmente virtuale. Certo, lo fa col disincanto di chi giunge a definire le sue immagini su tradizionale tela dopo secoli di slanci nella bellezza suasiva, di vertici lirici, di romanticismo estetico, di assoluto pittorico. La sua pittura, dunque, non registra i voli intuitivi nella profondità dell’io o nell’immensità del cosmo; la sua pittura sorride sotto i baffi, fa finta di essere pittura ma è qualcos’altro. Tanto per iniziare è ragionamento sui possibili significati del dipingere oggi. Ragionamento leggiadro, pieno di ammiccamenti sornioni rivolti all’osservatore, che si pone davanti ai suoi quadri incredulo per tanta mancanza di rispetto per il “bello pittorico”. Fatto sta che le ideologie del “bello pittorico”, giunte almeno fino all’informale e alla pittura monocroma, vertevano sulla rimozione del “brutto pittorico”, e tutto ciò che si rimuove alfine, come si sa, emerge. Il “trash”, il rifiuto, torna sempre a bussare alla porta: è una questione di sano riequilibramento. La pittura di Emanuele Gabellini comunica così, allo spettatore, il pieno orgoglio di essere veramente finta, di stanziare in registri bassi, tra l’infantiloide, il fumettistico e l’insipienza tecnica, di manifestarsi satura della sua piattezza di superficie, del suo non voler più raccontare, ma splendidamente apparire. E’ pittura dell’artificio nell’era delle simulazioni di tutto, realizzata con apparente disamore per i suoi potenziali comunicativi, ma, in verità, amata talmente tanto da essere riaffermata fieramente, quando sarebbe così facile scattare qualche foto … Il fatto è che Gabellini, stendendo le sue campiture terribilmente piatte, le sue linee di contorno che sembrano voler dire “noi siamo delle belle linee di contorno e basta”, riesce a far scaturire uno dei segreti della pittura di tutti i tempi, che resiste dunque anche nell’era del virtuale: quello di spiazzare e stupire l’osservatore, per lasciarlo inerte alla ricerca dei motivi concettualizzabili della sua inspiegabile sorpresa. Dietro, sotto e attorno alla pittura di Gabellini c’è un pensiero lucido e sottile, talmente sottile da penetrare anche in quelle stesure serrate di colore industriale che sembrano registrare il cardiogramma piatto della pittura, ma che lo fanno solo per finta, o meglio, per portare a proprio vantaggio la dittatura della finzione, e farle dal di dentro uno sberleffo, in una condizione ambigua tra adesione e critica ad essa, nel gioco perpetuo del dipingere.
 

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