Francesco Calia. Percorsi collettivi
A cura di: A cura di Loris Schermi
L’evento è il terzo appuntamento di Spazio Aperto 2013 ciclo di quattro mostre in cui i critici invitati dall’associazione culturale Fuori Centro, tracciano i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.
… Calia nel suo percorso fa sì che la macchina fotografica funzioni come l’occhio-mente: coglie scorci qualsiasi di un percorso quotidiano, opera delle scelte automatiche. Un tragitto che misteriosamente si carica di elementi inediti, magari sempre visti, ma mai veramente guardati. Si ha l’impressione che, passando dal vissuto al ricordo, il colore sia andato via. Come in una sorta di reazione chimica, esso ricompare scivolando sulla tela non più in grado di trattenerlo per concentrarsi all’interno di aree delimitate. Il rosso o il giallo che Calia stende meticolosamente col pennello, sono il soffio di vita di quell’istante, sono energia pura, il cuore pulsante dell’immagine, talmente forti da sfondare, in qualche caso, gli argini geometrici nei quali l’artista li relega tentando di dominarli. Manca il blu, il terzo dei colori primari, senza il quale non è possibile ricostruire la gamma iniziale. Non si può rivivere il passato, rimane solo il ricordo, che è conoscenza.
Francesco Calia. Percorsi collettivi
testo critico di Loris Schermi
Lo spazio è l'estensione compresa tra due o più punti di riferimento. All’interno di esso è necessario individuare elementi che permettano l’orientamento. Quando ci si sposta lungo un percorso, se ne selezionano alcuni, agendo spesso in modo automatico. L’arbitrarietà nel determinarli provoca differenze che variano da individuo ad individuo, facendo sì che quello che può essere rilevante per alcuni, potrebbe non esserlo per altri. Perché certi elementi rimangono vivi nella nostra memoria e altri scompaiono del tutto? Perché spesso non ricordiamo situazioni che altri menzionano con dovizia di particolari? Il nostro cervello opera una sorta di censura selettiva che libera spazio nella mente per permettere l’immagazinamento di informazioni nuove. È come una piccola morte costante che ci accompagna per tutta la vita. Francesco Calia si interroga su queste questioni tentando di trovare risposte. Le immagini fotografiche di questa mostra non provengono da inquadrature ricercate, sono punti casuali di un percorso urbano, quotidiano, che affiorano all’occhio dell’artista solo dopo lo scatto. La fotografia permette di imprimere “per sempre” il ricordo, ma la mente umana non può catturare ciò che si vede così com’è, adotta sempre una gerarchia, una scala di valori, scegliendo cosa focalizzare, cosa scartare, cosa coservare. Calia nel suo percorso fa sì che la macchina fotografica funzioni come l’occhio-mente: coglie scorci qualsiasi di un percorso quotidiano, opera delle scelte automatiche. Un tragitto che misteriosamente si carica di elementi inediti, magari sempre visti, ma mai veramente guardati. Si ha l’impressione che, passando dal vissuto al ricordo, il colore sia andato via. Come in una sorta di reazione chimica, esso ricompare scivolando sulla tela non più in grado di trattenerlo per concentrarsi all’interno di aree delimitate. Il rosso o il giallo che Calia stende meticolosamente col pennello, sono il soffio di vita di quell’istante, sono energia pura, il cuore pulsante dell’immagine, talmente forti da sfondare, in qualche caso, gli argini geometrici nei quali l’artista li relega tentando di dominarli. Manca il blu, il terzo dei colori primari, senza il quale non è possibile ricostruire la gamma iniziale. Non si può rivivere il passato, rimane solo il ricordo, che è conoscenza. L’intervento minimale della stesura dell’acrilico, allo stesso tempo copre e scopre il particolare invitando il cervello a compiere un’azione di ri-costruzione dell’immagine intera. Il coprire gioca un effetto attrattivo che stimola la curiosità creando una sorta di interazione erotica con l’opera. La casualità della scelta, l’assenza negli scorci di particolari noti, l’irriconoscibilità del posto, permea queste immagini di un valore universale: non UN luogo, ma IL luogo. Ogni osservatore può ri-conoscervi la strada o l’angolo già visto, lo spazio che è nella sua mente, ricordo di un vissuto che resta solo come frammento, come un déjà vu.