Francesco Calia "SPAZIO PERCORSO – All you can remember"
A cura di: Loris Schermi
L’immagine fotografica, sempre prelevata da un momento come tanti di un peregrinare urbano, appare in questi lavori più sfocata, a volte irriconoscibile. C’è probabilmente la volontà di incrementare il legame con chi guarda, paradossalmente sfocando le forme e limitando la decifrabilità del reale,
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L’evento è il quarto appuntamento di Osservazione 2016 ciclo di cinque mostre in cui gli artisti dall’Associazione culturale Fuori Centro, tracciano i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.
SPAZIO PERCORSO – All you can remember
testo critico di Loris Schermi
In questa serie di lavori Francesco Calia prosegue l’indagine sul concetto di “Memoria” personale/collettiva, portata avanti in varie fasi della sua produzione, passando dalla riflessione sulla storia dell’arte a quella sul paesaggio urbano. Nelle nuove opere in mostra sono sempre riconoscibili i contrasti visivi tra morbidezza e rigidità delle forme, tra il bianco e il nero dell’immagine fotografica e il colore della pittura, ma assistiamo ad un cambiamento sostanziale che pone riflessioni critiche nuove. L’immagine fotografica, sempre prelevata da un momento come tanti di un peregrinare urbano, appare in questi lavori più sfocata, a volte irriconoscibile. C’è probabilmente la volontà di incrementare il legame con chi guarda, paradossalmente sfocando le forme e limitando la decifrabilità del reale, aumenta, infatti, la possibilità dello spettatore di ritrovare in esse altri luoghi, altre persone, altri spazi, magari archiviati nella propria mente senza più averne coscienza. L’interazione attiva tra artista-opera-fruitore è una costante che caratterizza tutta la produzione di Francesco Calia. Senza il processo di ri-costruzione visiva, che lo spettatore compie davanti alle sue opere, il risultato sarebbe incompleto. Il titolo della mostra, allude proprio a questo, ricordando quei ristoranti dove è possibile mangiare tutto ciò che si desidera in quantità illimitata. Qui l’invito è ricordare tanto quanto si può.
Le immagini prive di colore, evanescenti, occupano contemporaneamente uno spazio, concreto (il supporto dell’immagine fotografica) e uno astratto (la memoria). Sono ciò che rimane dello spostarsi dell’artista lungo un percorso pianificato, conosciuto, ma allo stesso tempo fluido e cangiante. La memoria labile, temporanea, liquida, torna in superficie occupando uno spazio reale, coagulandosi in un’area delimitata, ma instabile. L’elemento geometrico, archetipo del razionale, dell’umano che mette ordine, mantiene la sua funzione di stimolo voyeuristico che spinge chi guarda a ricostruire i pezzi dell’immagine mancante. Ma il rosso vivo dei lavori passati, l’intervento pittorico dell’artista, ha lasciato il posto al bianco e sopravvive solo in piccole porzioni non rigidamente definite dal quale, però, rinasce come una vita pulsante che si sta formando. Sembra di ritrovare i tre stadi dell’alchimia: nell’immagine fotografica sfocata priva di colore la Nigredo in cui la materia si dissolve, nel bianco delle campiture geometriche l’Albedo durante la quale la sostanza si purifica sublimandosi, nel rosso pulsante, la Rubedo, lo stadio in cui tutto si ricompone rinascendo. È una trasformazione, un impulso rigenerante dal lutto del tempo passato. Il suo vero obiettivo, come per gli alchimisti, è la conoscenza, ma per raggiungerla veramente si deve osservare attentamente anche al di là del concreto. Calia ricerca l’equilibrio, ma l’impressione è che esso possa essere solo momentaneo, impossibile da trattenere.
testo critico di Loris Schermi
In questa serie di lavori Francesco Calia prosegue l’indagine sul concetto di “Memoria” personale/collettiva, portata avanti in varie fasi della sua produzione, passando dalla riflessione sulla storia dell’arte a quella sul paesaggio urbano. Nelle nuove opere in mostra sono sempre riconoscibili i contrasti visivi tra morbidezza e rigidità delle forme, tra il bianco e il nero dell’immagine fotografica e il colore della pittura, ma assistiamo ad un cambiamento sostanziale che pone riflessioni critiche nuove. L’immagine fotografica, sempre prelevata da un momento come tanti di un peregrinare urbano, appare in questi lavori più sfocata, a volte irriconoscibile. C’è probabilmente la volontà di incrementare il legame con chi guarda, paradossalmente sfocando le forme e limitando la decifrabilità del reale, aumenta, infatti, la possibilità dello spettatore di ritrovare in esse altri luoghi, altre persone, altri spazi, magari archiviati nella propria mente senza più averne coscienza. L’interazione attiva tra artista-opera-fruitore è una costante che caratterizza tutta la produzione di Francesco Calia. Senza il processo di ri-costruzione visiva, che lo spettatore compie davanti alle sue opere, il risultato sarebbe incompleto. Il titolo della mostra, allude proprio a questo, ricordando quei ristoranti dove è possibile mangiare tutto ciò che si desidera in quantità illimitata. Qui l’invito è ricordare tanto quanto si può.
Le immagini prive di colore, evanescenti, occupano contemporaneamente uno spazio, concreto (il supporto dell’immagine fotografica) e uno astratto (la memoria). Sono ciò che rimane dello spostarsi dell’artista lungo un percorso pianificato, conosciuto, ma allo stesso tempo fluido e cangiante. La memoria labile, temporanea, liquida, torna in superficie occupando uno spazio reale, coagulandosi in un’area delimitata, ma instabile. L’elemento geometrico, archetipo del razionale, dell’umano che mette ordine, mantiene la sua funzione di stimolo voyeuristico che spinge chi guarda a ricostruire i pezzi dell’immagine mancante. Ma il rosso vivo dei lavori passati, l’intervento pittorico dell’artista, ha lasciato il posto al bianco e sopravvive solo in piccole porzioni non rigidamente definite dal quale, però, rinasce come una vita pulsante che si sta formando. Sembra di ritrovare i tre stadi dell’alchimia: nell’immagine fotografica sfocata priva di colore la Nigredo in cui la materia si dissolve, nel bianco delle campiture geometriche l’Albedo durante la quale la sostanza si purifica sublimandosi, nel rosso pulsante, la Rubedo, lo stadio in cui tutto si ricompone rinascendo. È una trasformazione, un impulso rigenerante dal lutto del tempo passato. Il suo vero obiettivo, come per gli alchimisti, è la conoscenza, ma per raggiungerla veramente si deve osservare attentamente anche al di là del concreto. Calia ricerca l’equilibrio, ma l’impressione è che esso possa essere solo momentaneo, impossibile da trattenere.