Gabriella Di Trani. Il giardino delle delizie
Per Fuori Centro Gabriella Di Trani propone un affresco ironico e dissacrante di questo nostro tempo, per denunciare con apparente leggerezza il trionfo dell’egoismo, del malcostume, dell’incongruenza e il vuoto di valori che ormai sembra dominare la società contemporanea.IL GIARDINO DELLE DELIZIE
per contaminare banalità e finezza
Che cosa vede quel tuo occhio attonito? che cosa quel pallore steso sul volto? Scorgi forse dinanzi a te i mostri e i fantasmi dell’Erebo?Si direbbe che tu
abbia affrontato il varco dell’avaro Dite e le dimore del Tartaro, sì bene ha dipinto la tua destra tutto ciò che esiste nei recessi del profondo Averno.
Dominicus Lamponius
Per questa sua nuova personale a Studio Arte Fuori Centro Gabriella Di Trani ha realizzato una sapiente messa in scena che contamina codici linguistici di natura molto diversa - dall’iconografia tradizionale ai fumetti, dalla pittura di ascendenza pop alla pubblicità – per dare vita nel segno della dissacrazione a imprevedibili innesti tra cultura alta e cultura bassa.
Il punto di partenza, come del resto anche per i suoi lavori precedenti (siano essi dipinti tout court o installazioni), è la necessità di confrontarsi con la realtà artificialmente ricostruita dai media, che troppo spesso la restituiscono svuotata di ogni valore, per analizzarla e poi trasformarla con gli strumenti offerti dall’arte. Ma a interessarle non è la rappresentazione del reale, bensì la possibilità di sovrapporre artificio ad artificio, di annullare la distinzione tra verità e finzione e moltiplicare all’infinito il meccanismo di continuo slittamento in una dimensione illusoria, dove camp e junk, kitsch e pulp convivono accanto a riferimenti alla letteratura, alla musica, all’arte. L’artista, infatti, crea un gioco di rimandi continui, di evocazioni in bilico sempre tra banalità e ricercatezza, tra levità e serietà, tra ordinarietà e finezza, innescando connessioni, sovrapposizioni, improbabili mescolanze di presupposti eterogenei, e anzi spesso antitetici, legati da un nomadismo serrato e affascinante, per indebolire gli abituali paradigmi dialettici e convertire il dialogo in ironica denuncia, beffarda critica, sarcastica presa di coscienza.
Lo spazio espositivo si trasforma allora in una sorta di fantasmagorico e misterioso mondo altro, popolato di immagini e presenze che rimandano a un potenziale racconto, volutamente parziale e frammentario, per depistare e mettere sotto scacco chi si ferma solo alle apparenze. L’intento è proporre un affresco sardonico e visionario di questo nostro tempo, per denunciare con ricercata leggerezza il trionfo dell’egoismo, del malcostume, dell’incongruenza, della sopraffazione e il vuoto di valori che ormai è imperante. Nello iato tra sembrare ed essere Gabriella Di Trani mette a punto una macchina complessa per evidenziare l’umana fragilità. L’atmosfera è apparentemente giocosa, ma sostanzialmente tragica, alimentando il senso di inadeguatezza e assoluta caducità contro cui si infrangono i desideri, i sogni, le aspirazioni di ognuno.
Nato dall’intento di coniugare l’inconfondibile cifra pittorica, che mescola colori accesi e immagini sintetiche, con la necessità di rapportarsi allo spazio, Il giardino delle delizie inscena i lati nascosti del singolo e della collettività, i tormenti della storia e gli stereotipi del presente, ingredienti essenziali per mettere a nudo i fallimenti della nostra società, trasformando il dramma in farsa e viceversa. Oscillando con sagacia tra la tensione verso l’espiazione di una colpa e l’insopprimibile impulso al raggiungimento di un piacere, ottenuto anche a costo della trasgressione, dosa cinismo e ironia, raggiungendo accenti di graffiante irriverenza.
Quello realizzato è un hortus conclusus dal sapore assolutamente contemporaneo, in cui a dominare è il gusto per il divertissement e al tempo stesso la volontà di mettere in evidenza le incongruenze che regolano l’esistenza di ognuno. I nove cerchi dell’Inferno di medioevale memoria sono emblematicamente rappresentati da copri water colorati: il primo è chiuso perché ormai il limbo non esiste più, mentre gli altri otto custodiscono immagini che rimandano alle colpe, ai vizi, alle umane debolezze. Alle pareti nove cornici di gusto quattrocentesco in legno dorato fanno da contraltare: una racchiude la parete bianca, le altre invece come specchi ingranditi riflettono le figure inserite nei wc. Sono icone inquietanti nel loro smaltato decorativismo, ma non mostrano l’orrore quotidiano, cui siamo assuefatti guardando la TV che parla di guerre e catastrofi solo apparentemente lontane, bensì alludono a una dimensione sovratemporale, in cui diventa possibile riscattare le proprie debolezze, senza espiare il peso dell’errore, semplicemente riconoscendo la pervadente presenza del male, a dileggiare la falsa mitologia di un’originaria integra purezza.
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