Giovanni Morgese. Ferro&Fuoco;
A cura di: A cura di Maria Vinella
Riflessioni sui segreti della vita tra rigore etico e ricerca estetica
Guardo le opere di Giovanni Morgese. Penso ad Alberto Burri, il maestro italiano autore dei Grandi Sacchi, delle Combustioni su carta e su plastiche, dei Cellotex. Ricordo la matericità ferita delle sue opere, le stoffe piene di rammendi e cuciture, le bruciature della fiamma sui legni, la sublimazione poetica dei rifiuti. Penso ad Alberto Giacometti, il noto pittore e scultore svizzero autore delle ammirate ed esili sagome umane, inquietanti e fragili, inaccessibili e instancabili, sempre alla ricerca dell’essenziale senso della vita, sempre in cammino verso il fondo di una storia senza fine.
Ritrovo nelle opere dell’artista pugliese lo stesso materiale logoro fatto di lamiere traforate e contorte. I fogli metallici arrugginiti e bucherellati, i tondini di ferro attorcigliati a silhouette smunte. Le superfici corrose e fratturate, le figure smarrite e incerte. Gli spazi solitari squarciati dal vuoto. I volumi scarnificati arrampicati su campi geometrici primari.
Riconosco la memoria preziosa dell’arte povera, dell’astrazione fantastica, dell’espressionismo lirico-figurativo.
Dall’inizio del proprio lavoro, Morgese indaga specificità linguistiche e operative diverse, componendo e scomponendo pazientemente ogni elemento del linguaggio visivo in sculture, pitture, installazioni, disegni, assemblaggi vari.
Con un puntuale approccio antropologico, egli avvia un’originale indagine sui caratteri semantici di una simbologia mistica volta al disvelamento dei segreti della vita. Dall’uso di forme geometriche essenziali, di allusioni zoomorfe, di numeri e segni sempre affiancati da scritture dal significato sacro, nasce un discorso che, tramite sensibili tracciati segnico-cromatici, procede nell’esplorazione di verità trascendenti i limiti del reale e mai completamente decifrabili. In una poetica tesa tra astrazione e figurazione, tra emozione informale, gesto espressionista e progetto mentale, si è andato costruendo negli anni un immaginario visivo personalissimo nelle intenzioni e nei risultati (M. Vinella, 2001).
Dopo un ventennale percorso fatto di molteplici cicli pittorici e scultorei, tra un gesto-segno rapido (alla Emilio Vedova) e una massa-colore violenta (alla George Baselitz), l’artista mette a punto – in questo ultimo decennio – un percorso severo, dove il rigore etico prevale sulla ricerca estetica. Il suo lavoro inizia a farsi sempre più “programmaticamente appartato e dolorosamente introverso” (N. Vendola, 2001).
Nella serie di progetti messi a punto dopo il Duemila – cicli generati all’insegna del ferro e del fuoco – i metalli poveri si sommano ai materiali naturali e insieme affrontano combustioni, consunzioni, fusioni. Ne nascono sculture filiformi e spazi ermetici, figure drammatiche e silenti testimoni della condizione contemporanea.
Nelle composizioni medio-grandi (alcune raggiungono l’altezza di 160/190 centimetri) dedicate alla figura umana, eleganti forme femminili e corpi celesti asessuati appaiono forati da segni di stelle, di spirali generative, di falci di lune e di soli nascenti, mentre figurazioni di esseri immoti meditano o pregano con le braccia levate al cielo. Alcuni corpi sembrano composti da singoli frammenti di membra cucite tra loro. Altri paiono fuoriuscire da ovuli cosmici. Oppure da formazioni vegetali o concrezioni minerali. Altre ancora sono avvinte da legacci o trafitte da segmenti e aste zigzaganti.
“L’uomo è un essere verticale, un elemento precario – spiega l’artista – la fiamma che brucia come lama a due tagli, che incide e rende ciechi. Ferro come carne dura, sorda, dell’uomo nel crogiuolo del fonditore. Fuoco inestinguibile. Segni, linee, simboli di un irruente presente. Tutto si fa visibile in luce abbagliante”
Nelle vuote sagome architettoniche circolari/quadrangolari/rettangolari, con frammenti di lettere e parole che bucano gli assemblaggi dei ferri, nei microuniversi di simboli primari nascosti tra le lamiere, lo scultore sospende i pesi dei pezzi ferrosi incastrandoli e saldandoli tra loro. “Così sono riuscito a ottenere strutture leggere di grandezza visiva più ampia”, spiega lui stesso.
E, ancora, chiarisce l’autore: “La mia ricerca parte sempre dall’idea di cercare elementi poveri e di impoverirli ancora di più, per rendere più eterea la figura e svuotarla di tutta la materia di cui è composta”. Rendere più leggera l’opera scultorea realizzata con un materiale pesante e sordo, come il ferro, costituisce per Giovanni Morgese un impegnativo e importante processo di conquista dell' indispensabile ideale di spiritualità.
Maria Vinella
L’evento è il primo appuntamento di Spazio Aperto 2014 ciclo di quattro mostre in cui i critici invitati dall’associazione culturale Fuori Centro, tracciano i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.