Giuliano Mammoli. Spiegare tutto ogni volta
A cura di: Gaetano Salerno
Aveva già affrontato il tema del gioco Giuliano Mammoli, stabilendo perentoriamente con la scritta al neon rosa che “life is a game”; e nel gioco, che è impulso alla creatività per la costruzione di spazi fantasiosi e inattesi ma anche rispetto di ruoli predefiniti e regole assegnate, accettate e condivise, l’artista ha tracciato i binari della sua ricerca e il paradigma del suo fare arte.
Tutto infatti in questo incedere artistico appare giocoso, a tratti infantile; la produzione pittorica, i lavori scultorei, i combines con i quali invade i luoghi espositivi concorrono alla realizzazione di mondi paralleli e alternativi a quelli progettati dagli standard della quotidianità e della consapevolezza, dove la serietà imposta dalla società adulta non consente di intraprendere nuovi itinerari esplorativi, dove il punto di vista è univoco, inconfutabile e inalterabile.
Nei linguaggi dell’artista il gioco funge perciò da prompt per accogliere e stimolare nuovi approcci al reale poiché proprio nella piacevolezza estetica e nell’apparente disimpegno di queste produzioni è dapprima celato e, in un secondo momento, sommessamente svelato il principio di verità obnubilato dalle stereotipie e dagli impoverimenti dei codici comunicativi della contemporaneità, espressione di pensieri artefatti e messaggi depotenziati del loro valore espressivo.
Compaiono innumerevoli e iperboliche figure retoriche strategiche attraverso le quali porre lo spettatore di fronte all’oggetto desunto dal mondo del reale, rettificato e posto in relazione alla sua nuova percezione, all’imprevista presenza nel luogo-altro dell’arte che ne autorizza una nuova fruizione.
Anche la personale Spiegare tutto ogni volta si configura come attimo ricreativo, un gioco a incastro di tasselli modulari (serigrafie su metallo, terrecotte, ready-made) e distinti elementi alfabetici di un componimento letterario frammentato la cui ricostruzione e definizione ultima, ottenuta attraverso un percorso sommativo, contemporaneamente ludico e catartico, conduce a epiloghi illuminanti, per quanto combinatori e casuali.
Con l’elegante rigore formale e la ricercata levità che ne caratterizzano l’intera produzione, Giuliano Mammoli ci conduce entro i labirinti della comunicazione, riscrivendo le pareti della galleria di frasi interrotte, immagini spezzate, segni grafici e grafemi incompiuti da decrittare e riutilizzare per ricostruire il flusso di verità assiomatiche massmediali, prodotte meccanicamente da una società frenetica e disattenta, delle quali è stato smarrito il senso.
Un monito, evidentemente, a riconsiderare e porre rimedio alla superficialità di analisi, al pressapochismo, alla disattenzione che inficiano la capacità di osservare e leggere il mondo.
Un paradosso comunicativo in cui la rinuncia a un senso immediato induce, oltre la confusione del cortocircuito narrativo, alla formazione di nuovi sistemi di scrittura logografici, all’esplorazione di nuovi pensieri, alla catalogazione di nuove prospettive visuali.
I forti contrasti che sorreggono i linguaggi espressivi dell’artista mettono ora in scena un complesso apparato di ossimori in cui gli estremi – leggerezza/gravità, gioia/tragedia, inganno/disinganno – coesistono e s’intrecciano, per spingerci a introspettive riflessioni e valutazioni oltre l’articolata struttura enunciativa alla quale ogni opera concorre, per spiegarci tutto, ogni volta e semplificare le difficoltà testuali apparenti con la disarmante ed efficace purezza di un bambino (mutuando le parole del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry) che vuole essere ascoltato e compreso dagli adulti.
Tutto infatti in questo incedere artistico appare giocoso, a tratti infantile; la produzione pittorica, i lavori scultorei, i combines con i quali invade i luoghi espositivi concorrono alla realizzazione di mondi paralleli e alternativi a quelli progettati dagli standard della quotidianità e della consapevolezza, dove la serietà imposta dalla società adulta non consente di intraprendere nuovi itinerari esplorativi, dove il punto di vista è univoco, inconfutabile e inalterabile.
Nei linguaggi dell’artista il gioco funge perciò da prompt per accogliere e stimolare nuovi approcci al reale poiché proprio nella piacevolezza estetica e nell’apparente disimpegno di queste produzioni è dapprima celato e, in un secondo momento, sommessamente svelato il principio di verità obnubilato dalle stereotipie e dagli impoverimenti dei codici comunicativi della contemporaneità, espressione di pensieri artefatti e messaggi depotenziati del loro valore espressivo.
Compaiono innumerevoli e iperboliche figure retoriche strategiche attraverso le quali porre lo spettatore di fronte all’oggetto desunto dal mondo del reale, rettificato e posto in relazione alla sua nuova percezione, all’imprevista presenza nel luogo-altro dell’arte che ne autorizza una nuova fruizione.
Anche la personale Spiegare tutto ogni volta si configura come attimo ricreativo, un gioco a incastro di tasselli modulari (serigrafie su metallo, terrecotte, ready-made) e distinti elementi alfabetici di un componimento letterario frammentato la cui ricostruzione e definizione ultima, ottenuta attraverso un percorso sommativo, contemporaneamente ludico e catartico, conduce a epiloghi illuminanti, per quanto combinatori e casuali.
Con l’elegante rigore formale e la ricercata levità che ne caratterizzano l’intera produzione, Giuliano Mammoli ci conduce entro i labirinti della comunicazione, riscrivendo le pareti della galleria di frasi interrotte, immagini spezzate, segni grafici e grafemi incompiuti da decrittare e riutilizzare per ricostruire il flusso di verità assiomatiche massmediali, prodotte meccanicamente da una società frenetica e disattenta, delle quali è stato smarrito il senso.
Un monito, evidentemente, a riconsiderare e porre rimedio alla superficialità di analisi, al pressapochismo, alla disattenzione che inficiano la capacità di osservare e leggere il mondo.
Un paradosso comunicativo in cui la rinuncia a un senso immediato induce, oltre la confusione del cortocircuito narrativo, alla formazione di nuovi sistemi di scrittura logografici, all’esplorazione di nuovi pensieri, alla catalogazione di nuove prospettive visuali.
I forti contrasti che sorreggono i linguaggi espressivi dell’artista mettono ora in scena un complesso apparato di ossimori in cui gli estremi – leggerezza/gravità, gioia/tragedia, inganno/disinganno – coesistono e s’intrecciano, per spingerci a introspettive riflessioni e valutazioni oltre l’articolata struttura enunciativa alla quale ogni opera concorre, per spiegarci tutto, ogni volta e semplificare le difficoltà testuali apparenti con la disarmante ed efficace purezza di un bambino (mutuando le parole del Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry) che vuole essere ascoltato e compreso dagli adulti.