PAOLO GOBBI: Frammenti
A cura di: Loredana Rea
In Paolo Gobbi la pittura, libera dall’ossessione della rappresentazione, perché interessata esclusivamente alla ricerca di equilibrio, perfezione, armonia e bellezza, si fa materia trasparente, velatura leggera, diafana variazione cromatica, esaltata sapientemente dalla luce, che lascia emergere enigmatiche presenze. Labili tracce che custodiscono nel tempo i segni inequivocabili di una esistenza svanita, lacerti di realtà che contengono e allo stesso tempo rinviano alla pienezza della realtà esterna, frammenti del mondo, immagini volutamente elementari, spogliate di ogni caratterizzazione, dal momento che ciò che interessa all’artista non è la restituzione mimetica della realtà, sia pure sedimentata nelle stratificazioni dell’inarrestabile ciclicità del tempo, ma la conoscenza, che avviene superando ogni effimera apparenza. Le opere recenti di Gobbi sono proprio questo: piccoli frammenti di immagini, reperti iconici, fossili della memoria recuperati tra le pieghe del tempo e impressi sulla cera, delicatamente pigmentata, come su di una lastra fotografica sovraesposta e quindi sempre sul punto di sparire, dopo aver lasciato, come incancellabile simulacro, una traccia di sé.
Sono impronte indelebili di una esistenza pietrificata nei fertili umori della terra, nascosta nelle sue fenditure scure, che l’artista porta alla luce come dati di una vita preesistente alla storia e ai suoi documenti scientificamente registrati. La pittura di Paolo Gobbi – di pittura pur sempre si tratta, anche se, in seguito al continuo processo di ricercata essenzialità, si è sottratta ormai alla sua sensuale visibilità – innesca un intrigante meccanismo di evocazione che spalanca un varco nell’infinità dello spazio e del tempo, indicando la strada per andare oltre. Oltre la fruizione legata all’immediato riconoscimento del frammento iconico, che pure, combinando levità e rigore, aumenta in maniera esponenziale il senso di sospensione, di atemporalità, per sottolineare invece il valore della pratica artistica come esperienza conoscitiva, come imprescindibile strumento per scoprire/riscoprire la profondità della persistenza immaginale e appropriarsi/riappropriarsi degli archetipi collettivi, primigenio substrato della cultura occidentale.