15/11/2011  al 02/12/2011

Lucilla Ragni. A quello strano spazio tra le cose tornare

A cura di: Loredana Rea

Lucilla Ragni. A quello strano spazio tra le cose tornare “i lavori di Ragni – che si articolano, nel corso degli anni, per cicli – in realtà compongono un ciclo unico, costituendo una sorta di cerchi concentrici in verticale come quelli di una spirale.

 
Note sui fondamenti dell’opera di Lucilla Ragni
di Giorgio Bonomi
Come tutti gli artisti, anche Lucilla Ragni ha una serie di fondamenti su cui basa il suo lavoro. Questi sono delle idee-guida che la accompagnano fin dai suoi esordi, naturalmente con i necessari mutamenti e le inevitabili maturazioni.
Il concetto che più “avvolge” tutta la sua opera e che informa la sua poetica è quello di tempo. Il suo è il tempo agostiniano di Dio, quello dell’eterno presente[1], simile a quello “interiore” di Bergson che lo distingueva dal tempo “lineare”[2]. Così il “presente” che, per chi considera lo scorrere del tempo come incessante, in realtà non esiste, essendo solo quell’attimo tra ciò che è già diventato passato e ciò che ancora non è dato (il futuro), per la Ragni invece è la condizione di memoria del passato e di attesa e anticipazione del futuro.
È per questo che i lavori di Ragni – che si articolano, nel corso degli anni, per cicli – in realtà compongono un ciclo unico, costituendo una sorta di cerchi concentrici in verticale come quelli di una spirale.
Inoltre i “cicli” si fondano su concetti – spesso espressi già nei titoli – “forti”, come lo “strappo” che indica “rottura”, soluzione di continuità (e, quindi, “dolore”); la “scrittura” che, a sua volta, si dà “agita” ad indicare proprio una scrittura “condotta” con caratteristica “durativa”[3]; oppure la scrittura è “silente”, “assente” e, finanche, “segreta”; poi troviamo il concetto di “osservazione” che ci porta al più “vicino” e al più “lontano”, quello di “ombra” che è indissolubilmente legata all’uomo che sta nella luce[4], per arrivare fino al “contatto” che è un modo di conoscenza e di superamento della solitudine (leopardianamente, cosmica).
 
Ecco, molto succintamente abbiamo elencato i concetti-base del lavoro artistico di Lucilla Ragni che, ovviamente, essendo artista li concretizza in opere. Queste non sono immediatamente definibili come sculture o pitture, data la loro complessità, anche costruttiva: sono infatti quasi sempre installazioni che si servono di vari materiali e di diverse tecniche, come carta, plastica, metallo, legno, cera, colore, pigmento, fotografia, computer eccetera.
Una complessità che spesso trova un equilibrio lirico come nei Diari tattili – dalla serie Scritture assenti, eseguite dal 1997 ad oggi – “encausti su carta, pigmento, olio, acrilico su legno”, che si offrono in tutta la loro poeticità, serena e rasserenatrice, sia nella loro “semplice” composizione” sia nella loro “complessa” materialità sia nella loro soave cromaticità.
Altre volte l’opera si presenta con un piglio più severo, come negli Osservatori del 2000 o nei Nottari del 2004 o negli Ombrari del 2006, fino ai più recenti Contatti del 2008 in cui l’artista raggiunge una sintesi di notevole maturità tra materiale e tattilità, tra forma ed espressività, tra luce ed ombra, tra pieno e vuoto: l’osservatore è come attratto a “varcare la soglia” che solitamente, in modo più o meno invisibile, si frappone tra lui stesso e l’opera, ed è preso dal desiderio del “contatto”, fisico, materiale, al di là di ogni possibile cartello con su scritto “vietato toccare”!
Terminiamo queste brevi note sulla poetica di Ragni con alcune considerazioni sull’altro suo fondamentale concetto, il tornare. L’azione che esprime questo verbo è sempre ammantata di melanconia, infatti il “tornare”, anche quando appare gioioso, è sempre nello stesso tempo un “lasciare” (si ritorna in un luogo già lasciato, e se ne lascia un altro per il ritorno): movimento che può essere fisico o mentale, ed entrambi sono necessari, non potendo più, l’artista, vivere nella torre d’avorio del suo solipsismo né potendo il pensare non “ritornare” su se stesso.
Orbene, se per il credente la vita finisce col “ritorno” alla terra (o al Padre che è lo stesso), per il non credente la vita, nata dal nulla, è ugualmente un “ritorno” ma al nulla[5]. Ecco perché l’opera di Lucilla Ragni, al di là dei suoi sviluppi, richiede una lettura sincronica e non già diacronica, ed ecco perché il “ritorno”, nella sua poetica, è un concetto malinconico, anche se con quel tanto di piacere che pure nella mestizia possiamo provare


[1] Agostino d’Ippona giustifica il non intervento di Dio, che è onnipotente, sulle possibilità dell’uomo di fare il male, prima che questo lo compia, proprio perché per Dio il tempo è eterno, senza un prima e senza un poi, quindi Lui vede le azioni degli uomini su un piano che non ha passato né futuro.
[2] Per Bergson c’è il tempo che si svolge come il percorso di una freccia, lineare, con il passato, presente e futuro e poi di nuovo con lo stesso tracciato: questo è il tempo della scienza, il tempo “spazializzato”. Ma c’è anche il tempo come “durata”, il “tempo interiore”, che è quello della coscienza, quello che ci fa sembrare un’ora di felicità solo un minuto e, viceversa, un minuto di dolore come un’ora.
[3] Cfr. in G. Devoto, Dizionario etimologico, la voce “agile”, la cui radice “ag“, che è la stessa di “agire”, ha valore durativo.
[4] Sono noti i guai che capitano a chi non ha o si vende la propria ombra (o la propria anima) come in tanta letteratura abbiamo letto, da Goethe a von Hofmannsthal.
[5] Ricordiamo a questo proposito, il nietzschiano “eterno ritorno”, che implica la negazione del tempo lineare, affermando che ogni momento del tempo, ogni attimo ha il suo senso in sé, senza un prima o un poi.

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