MARIO MARIA BIANCHI : perimetri sacri
A cura di: Loredana Rea
La roccia rivela qualcosa che trascende la precarietà della condizione umana: un modo di essere assoluto. La sua resistenza, la sua inerzia, le sue proporzioni, come i suoi strani contorni, non sono umani: attestano una presenza che abbaglia, atterrisce, minaccia. Nella sua grandezza e nella sua durezza, nella sua forma e nel suo colore, l’uomo incontra una realtà e una forza appartenenti a un mondo diverso da quello profano di cui fa parte. Mircea Eliade La durezza, la resistenza allo scorrere del tempo, la solidità della materia hanno sempre rappresentato per l’uomo, fin dall’età primitiva, una significativa ierofania.
Nella fissità che sfida il tempo la forza divina, infatti, si rivela nell’immediatezza della sua realtà, perché è in essa che trova accoglienza, momentanea abitazione. La pietra incorruttibile è simbolo, quindi, dello spirito solidificato e in quanto tale è il legame tra le due diverse dimensioni: terrena e ultraterrena. È il tramite originario tra l’uomo e la vastità incommensurabile dell’universo. Per questo motivo Mario Maria Bianchi seguendo le suggestioni profonde di un sapere antico ha scelto le pietre a delimitare una sorta di temenos, di recinto rituale, di spazio sacro in cui l’artista, educato come uno sciamano alla pratica del superamento e dello sconfinamento, a guardare oltre per vedere ciò che non è visibile a tutti, ha la possibilità di conoscere la realtà del mondo, di comprendere al di là delle apparenze l’incongruente articolazione del quotidiano. Le pietre delimitano, infatti, un luogo, dello spirito non della geografia, in cui l’artista, compresa l’inscindibile connessione tra l’esistenza dell’uomo e la forza dell’assoluto, recupera la capacità di superare con uno scarto improvviso la pratica inerte del quotidiano, di lacerare l’orizzontalità del reale per accedere a una realtà altra.
Una realtà in cui l’uomo può raggiungere la comprensione di sé e del mondo, sentito inevitabilmente come rispecchiamento delle profondità interiori, e può tornare a conoscere il segreto dell’iniziale fusione tra l’individuo, la realtà fenomenica e il cosmo, per accettare l’inesplicabile eterno fluire dell’esistenza, l’inarrestabile, incalzante, ciclica alternanza di vita-morte-vita. Nel sacro perimetro attraverso la solitaria ritualità della pratica artistica si possono scoprire le radici profonde della vita e portare alla luce i legami inscindibili che uniscono cosa a cosa nella primitiva unità tra caos e cosmo. Nel temenos, spazio fisicamente circoscritto eppure simbolicamente infinito a contenere la vastità del cosmo, la finitudine del quotidiano, imbrigliata dalla ritualità dell’arte, torna a manifestarsi attraverso frammenti di immagini, impressi con il colore sulla superficie litica, a materializzare emblematicamente le remote stratificazioni di una primigenia pratica iniziatica. I lacerti immaginali sono i preziosi reperti della memoria ancestrale che cancellano i confini tra arte e realtà, le persistenze iconiche in cui la complessa molteplicità della natura, sottoposta a un processo di continua sublimazione, essenzializzata, ridotta a pochi elementi, si cristallizza per mostrarsi nella sua elementare complessità. È il luogo, quindi, a divenire significativamente iconico.Nel sacro perimetro tracciato da Bianchi ognuno, infatti, può ritrovare l’immagine del mondo e del suo ciclico divenire