Mavi Ferrando, Decostruzioni e geometrie di confine
A cura di: Cristina Rossi
Martedì 13 settembre 2016, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, si inaugura la mostra di Mavi Ferrando, Decostruzioni e geometrie di confine a cura di Cristina Rossi.
L’esposizione rimarrà aperta fino al 30 settembre, secondo il seguente orario: dal martedì al venerdì dalle 17,00 alle 20,00.
L’evento è il secondo appuntamento di Spazio Aperto 2016 ciclo di quattro mostre in cui l’associazione culturale Fuori Centro ha invitato gallerie e critici di altre regioni italiane a segnalare artisti appartenenti al proprio territorio per tracciare i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.
Mavi Ferrando, genovese e milanese d’adozione, dopo il Liceo Artistico si è laureata in architettura. Fondamentalmente scultrice per le sue opere utilizza soprattutto il legno, ma anche il ferro, materiali di riciclo e materie plastiche. L’ambiguità dell’apparire è da sempre il cardine su cui si sviluppa il suo intero lavoro. Espone in mostre personali e collettive dal 1975 sia in Italia che all’estero. Tra le pubblicazioni è presente in ‘Storia dell’Arte italiana del ‘900 - Generazione anni quaranta’ di Giorgio Di Genova - Edizioni Bora. Tra gli altri hanno scritto sul suo lavoro: Mirella Bentivoglio, Marisa Vescovo, Carmelo Strano, Anty Pansera, Alessandro Mendini, Vito Apuleo, Mimma Pasqua, Roberto Borghi, Donato di Poce, Chiara Gatti, Evelina Schatz, Giorgio Di Genova, Kevin McManus, Cristina Rossi. Dal 1997 si occupa attivamente del settore arte dello spazio Quintocortile a Milano. Lavora a Milano e a Valle Lomellina (Pavia).
L’esposizione rimarrà aperta fino al 30 settembre, secondo il seguente orario: dal martedì al venerdì dalle 17,00 alle 20,00.
L’evento è il secondo appuntamento di Spazio Aperto 2016 ciclo di quattro mostre in cui l’associazione culturale Fuori Centro ha invitato gallerie e critici di altre regioni italiane a segnalare artisti appartenenti al proprio territorio per tracciare i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.
Mavi Ferrando, genovese e milanese d’adozione, dopo il Liceo Artistico si è laureata in architettura. Fondamentalmente scultrice per le sue opere utilizza soprattutto il legno, ma anche il ferro, materiali di riciclo e materie plastiche. L’ambiguità dell’apparire è da sempre il cardine su cui si sviluppa il suo intero lavoro. Espone in mostre personali e collettive dal 1975 sia in Italia che all’estero. Tra le pubblicazioni è presente in ‘Storia dell’Arte italiana del ‘900 - Generazione anni quaranta’ di Giorgio Di Genova - Edizioni Bora. Tra gli altri hanno scritto sul suo lavoro: Mirella Bentivoglio, Marisa Vescovo, Carmelo Strano, Anty Pansera, Alessandro Mendini, Vito Apuleo, Mimma Pasqua, Roberto Borghi, Donato di Poce, Chiara Gatti, Evelina Schatz, Giorgio Di Genova, Kevin McManus, Cristina Rossi. Dal 1997 si occupa attivamente del settore arte dello spazio Quintocortile a Milano. Lavora a Milano e a Valle Lomellina (Pavia).
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Sculture in sequenza
Cristina Rossi
La galleria romana Studio Arte Fuori Centro ospita la mostra di Mavi Ferrando: dieci sculture/bassorilievo lignee montate sulle pareti che delimitano lo spazio espositivo, in un’alternanza di pieni e di vuoti, creano una diversa percezione dell’ambiente, in sé piuttosto regolare. Si avverte infatti una mobilità, una diversa articolazione che lo spazio stesso, per sua natura struttura architettonica uniformante, assume attraverso l’allestimento di questo insieme di opere che fa parte di un unico progetto artistico.
Solo avvicinandosi si percepisce la natura particolare di questo lavoro: nel tempo l’artista ha saputo approfondire con coerente intensità il percorso avviato fin dall’inizio con installazioni, sculture, dipinti, disegni in cui architettura scultura e design intrecciano inscindibilmente i loro linguaggi specifici.
Le opere in mostra, le più significative tra quelle recenti, rappresentano simbolicamente quasi la sintesi di un intero percorso narrativo; ad accomunarle ai lavori storici dell’artista sta infatti un approccio radicale che Ferrando mette in campo su un’idea di scultura fondata sulla propria necessità emozionale di trasformare la forma, di farla virare, da una prima ipotesi, a una totalmente “altra” inimmaginabile, trasgressiva, aperta a nuove possibilità di articolare il proprio racconto creativo. Si ritrovano in questo lavoro inedito gli elementi di fondo di una poetica in cui l’opera è un processo nato sul foglio da disegno mai vincolato a una forma predefinita; la sfida sta nel farsi stesso dell’opera, nella ricerca di una connessione, di una relazione di senso tra l’opera, le sue componenti e lo spazio.
Il lavoro dell'artista, a partire dalla sua formazione di architetta, da sempre mescola rigore e libertà d’espressione, ironia e austerità; Ferrando muove da un sapere tecnico umanistico che rispetta la rilevanza formale del progetto, le numerose esperienze espositive, la pratica dei materiali e strumenti sperimentati in laboratorio, immensa bottega artigiana, punto nevralgico della sua residenza in Lomellina. E tuttavia l’artista avverte che “... non possiamo mai vedere nulla completamente, qualcosa resta sempre celato e non possiamo recuperarne le forme se non attraverso una rottura, o meglio una trasgressione... ho sempre voluto trasformare, un costante lavoro di trasformazione, trasgredire dalla forma e dalla funzione presunta di un oggetto...”.
Ritorno mentalmente a opere di Ferrando che colgono torsioni di corpi, figure umane ansiose protese al cielo quasi a voler sfidare la gravità, nel momento della loro “metamorfosi” verso una forma altra, rinunciando a quella sorta di eternità che rischia di congelare il movimento, come spesso accade nella scultura e in architettura. E dunque la fisionomia di questi lavori della mostra romana sfuggono a una configurazione definitiva come del resto la vitalità di un’opera a mio parere richiede.
Le dieci sculture/ bassorilievo se da un lato consentono una lettura complessiva della ricerca dell’artista, che attraverso passaggi ed evoluzioni ha saputo mantenere una visione coerente, centrata sul valore della forma e della materia, dall’altro ricreano e accentuano un’idea forte di scultura, di volumi, di spazialità dove l’immagine plastica attraverso una complessa genealogia diviene anche sequenza di misteriose presenze; in questo senso Ferrando non è lontana da un clima vagamente surrealista.
Questo progetto espositivo sottolinea un passaggio interessante nel lavoro dell’artista a un momento di riflessione che sottende una sorta di ica attraverso una complessa genealogia diviene rinuncia alla monumentalità della singola opera per restituirle una transitorietà, come se la percezione della sostanza dell’opera si espandesse proprio attraverso una destrutturazione di parti in figure di misura variabile coerenti tra loro, ordinate secondo un ritmo.
C’è anche, forse, attraverso questa mostra un’esigenza dell’artista di alleggerire il proprio lavoro, anche nel senso di un ingombro, di sperimentare una nuova relazione con il proprio modo di operare. Ancora una volta e in modo più radicale Ferrando ci riporta all’idea di fondo della sua poetica, ribaltare ciò che è acquisito e liberare il progetto dal ruolo teoricamente predisposto, per trasferirlo nel territorio del proprio immaginario artistico.