Nadia Galbiati - In/De-Finito. Stabilire, rappresentare, costruire lo spazio
A cura di: Loredana Rea
La visione artistica di Nadia Galbiati si concentra sulla problematica dello spazio – naturale ed artificiale – come luogo delle esperienze, della storia e del vivere, che è rielaborato e sezionato nelle sue costituenti primarie: il suo sguardo si indirizza pertanto sulla ricognizione e sull’indagine degli elementi costitutivi dei luoghi dell’esistenza umana, dove le presenze delle geometrie, tratte in origine dalle strutture naturali, sono diventate artificio tecnico per la rielaborazione architettonica delle costruzioni dell’uomo. IN/DE-FINITO
Stabilire, rappresentare e costruire lo spazio
La visione artistica di Nadia Galbiati si concentra sulla problematica dello spazio – naturale ed artificiale – come luogo delle esperienze, della storia e del vivere, che è rielaborato e sezionato nelle sue costituenti primarie: il suo sguardo si indirizza pertanto sulla ricognizione e sull’indagine degli elementi costitutivi dei luoghi dell’esistenza umana, dove le presenze delle geometrie, tratte in origine dalle strutture naturali, sono diventate artificio tecnico per la rielaborazione architettonica delle costruzioni dell’uomo. La dissezione, che l’analisi di Galbiati compie, prende in considerazione frammenti di edifici e costruzioni, senza circoscriversi entro i confini della contemporaneità, e ne seleziona i motivi chiave, le porzioni peculiari che diventano mezzi per una modellazione formale nuova di quella spazialità che orientano o possono contenere. Galbiati costringe lo sguardo – anche con la forza dei materiali e dei segni delle sue opere – a rivalutare e riconsiderare l’ambiente circostante alla luce delle sue nuove elaborazioni: le linee strutturanti, l’insieme di piani intersecanti, la risoluzione dei volumi di pieno e vuoto, concorrono a quell’ideale, mai pianificata e nemmeno conclusa ma lasciata sempre aperta e sospesa, comprensione della spazialità come luogo non integralmente definibile, ma alterabile e infinito, in grado, quindi, di individuare sempre inattese possibilità.
L’apertura di senso nei confronti dell’ambiente, come area di verifica delle esperienze, sottintende anche la capacità di individuare i referenti e le coordinate identificanti delle strutture anche nella loro avvenuta parcellizzazione minuta: Nadia Galbiati sfida in un certo senso, la capacità di riconoscimento della memoria dello spettatore, per far ricorrere a quel grado di presenza inconscia delle forme degli spazi del proprio vivere-esistere. La comune assimilazione del particolare rende plausibile e riscontrabile il suggerimento della sua ricerca che, attraverso il sezionamento, riconduce all’ampiezza dello sguardo, fondendo processo creativo, revisione artistica e rielaborazione visiva in un’unica sequenza di eventi che portano alla congruenza tra spazio reale e spazio mentale.
In Galbiati è importante e decisivo questo lavoro sulla memoria: preleva pezzi di forme geometriche dall’architettura e le in/de-finisce per permettere al nostro occhio-mente di ritrovarsi nelle forme che abitualmente la circondano ma che ora diventano chiave d’accesso per la definizione di uno spazio in divenire. I segni dei suoi tracciati, gli schemi dei suoi modelli individuano quell’interazione geometrico-spaziale tra il microcosmo del reale e il macrocosmo, infinito e potenziale, della mente. Per questo motivo Galbiati non si chiude mai, va sottolineato con decisione, in un’astrazione geometrica di tipo ritmico, lontana dall’esperienza sensibile; ogni suo elemento conserva sempre una tensione vitale, rimane permeato della verità del reale.
Va posta infine una necessaria considerazione sulle tecniche da lei utilizzate: pur esplorando con disinvolta perizia generi diversi, la relazione stretta e interdipendente tra incisione-disegno – in ogni sua variante e possibilità – e scultura diventa un’azione convergente alla finalità dell’orientamento della sua ricerca. Una tecnica non è mai un compendio all’altra, ma mezzi e materiali, sempre tutti percorribili e attuabili, e scelta di genere concorrono con ugual peso e misura, senza alcuna impostazione gerarchica e accademica, ciascuno con le proprie intrinseche qualità, alla codifica e alla definizione più efficacemente capace della trascrizione del segno.
La preponderante forza e vigore del suo segno robusto, diventano l’unico mezzo per stabilire, rappresentare ed infine costruire lo spazio. Lo spazio inteso non solo come luogo della manifestazione del visibile e del reale, ma anche come materializzazione vera dell’invisibile.
Matteo Galbiati
Settembre 2010
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