ALESSANDRA PORFIDIA : Bianchi territori. Ambienti scultorei
A cura di: Loredana Rea
Iniziata già nel 2004 con i grandi pannelli scultorei pendants per la personale Colloqui 1994-2004 dell'Università di Tor Vergata, la ricerca di Alessandra Porfidia prosegue nell'analisi dei Bianchi territori della scultura disponendosi ad un'indagine spaziale ancor più avanzata, ma che da lì trae la sua origine, con l'ambiente scultoreo pensato appositamente per lo spazio dello Studio Arte Fuori Centro.
La riflessione di Alessandra sullo specifico scultoreo, percepito nei pannelli dell'Università come spazi della riflessione e della sospensione del pensiero Zen, trova giusto traguardo e compimento nella sua installazione ambientale per lo Studio romano . Tutto quanto nei rilievi plastici di Tor Vergata già faceva comprendere il nuovo orientamento della sua ricerca plastica – più essenziale e meditatamente rarefatta rispetto ai precedenti Teatri del corpo del 1996 - attraverso le diverse texture dei vari tipi di carte bianche usate, e dei segni tracciati in economia, trova maggiore respiro e adeguato compimento nello sviluppo dello spazio realizzato per la galleria romana, risolto come un bianco paesaggio di suggestione orientale, adatto a silenti soliloqui, e sospensioni del pensiero. Un luogo, questo, adatto alla "meditazione occidentale", modellato con gli stessi segni astratto-geometrici dei pannelli plastici e dei rilievi, anch'essi rigorosamente bianchi, con cui la Porfidia risolveva i suoi Haiku del 2001.
Sicuramente giocarono a favore dell'innovativo corso da un certo momento dato alle soluzioni plastiche, in precedenza memori dei volumi e delle sodezze antropomorfe di Moore e del Matisse scultore (G. Gallo) l'esperienza giapponese della Triennale di Scultura di Osaka del 1998, che nell'edizione, sempre di quell'evento, del 2001, confermava la sua presenza in modo anche più autorevole nella veste di rappresentante dell'Italia.
La riflessione sull'Oriente, sulla linearità orizzontale dell'architettura per abitazione giapponese, su certi paesaggi disegnati per successione di piani e sulle soluzioni plastiche ottenute per sovrapposizioni e contiguità, piuttosto che attraverso volumi matericamente espansi, conduce la Porfidia ad adottare nuovi materiali ed interventi cromatici, più adatti ad esprimere un nuovo concetto di scultura.
La sobrietà rigorosa che sostanzia il pensiero Zen sotteso alla sospesa transitorietà del mondo fluttuante conduce naturalmente Alessandra a sostituire il cemento, il bronzo e il ferro con fogli e pannelli di forex di vario spessore.
Esclusivamente bianco , questo innovativo materiale termoplastico , tagliato industrialmente con un sistema computerizzato che non concede ripensamenti, traduce in tagli precisi le informazioni che riceve dal progetto grafico dell'artista. Si stabilisce così una evidente distanza rispetto a ricerche plastiche precedenti - tra esse, i Teatri del corpo a cui si è accennato - che potevano prevedere , per esempio col cemento, l'adozione di una progettualità in itinere della forma plastica, aperta a modifiche e ripensamenti dell'artefice, resi possibili attraverso il procedimento del togliere e dell' aggiungere. Nulla di ciò è più possibile, in quei termini, in questa nuova forma di sperimentazione – una tra quelle con cui l'artista si esprime -, intenta ad elaborare il concetto di scultura come progetto preordinato; un sistema compiuto e inalterabile di segni e di piani che compongono il bianco organigramma dei suoi paesaggi ambientali: nuovi spazi fisicamente dati, ma risolti, piuttosto , come territori della mente.
Il giardino Zen della Porfidia costituisce il traguardo di una coerente evoluzione che porta in sé i segni di una nuova riflessione concettuale; quella stessa che si riscontra nella scelta delle musiche di Brian Eno come adeguato accompagnamento musicale della sua installazione. Musicista ma anche artista affine all'atteggiamento cerebrale di Duchamp, Brian Eno crea ambienti musicali e paesaggi sonori affini ai paesaggi organici per la "meditazione occidentale" dell'artista. Trovano così senso compiuto il bianco e la minimalizzazione dei segni usati per realizzare un progetto scultoreo-musicale che si concreta sulla sottrazione, che non usa più del necessario, che nell' essenzialità delle tracce, stabilisce il nesso logico con la "musica fatta con poco" del compositore anglosassone prescelto.
Coerente alla ricerca di stabilire un nesso tra musica e forma plastica , già reso evidente in certe sue sculture d'acciaio realizzate tra il 2001 e il 2004, e all'interesse per la cultura giapponese, anch'essa dotata di una musicalità, seppure diversa dal ritmo e dalla metrica occidentali, nascono i Libri-Scultura della Porfidia ispirati agli Haiku di Basho, il più importante poeta giapponese del XVII secolo. Stretto è il legame tra la profondità misteriosa e spirituale della poesia Haiku e del mondo fluttuante, e l'indefinita bellezza del giardino Zen.
Dotato di sonorità arcane e sospeso nel tempo, rigato da un autentico corso d'acqua affiancato dai tracciati rettilinei di ghiaia e pozzolana sviluppati per cinque metri di lunghezza, delimitato da bande di sale grosso tutt'attorno, nella polvere di marmo che completa il parterre come spazio dell'apparizione dei suoi segni tracciati in economia, e nei ponticelli tagliati nel forex che scavalcano il corso d'acqua, in tutto questo, e attraverso questo, la Porfidia realizza il suo personale concetto di paesaggio della mente.
Un paesaggio dal tempo sospeso del quale percepiamo i confini travalicanti quelli della galleria. L'osservazione attenta dello spazio nella sua interezza – costituito in piano ma anche in alzato - ci fa comprendere appieno la funzione dell'elemento plastico che completa verticalmente l'installazione. Coordinatore spaziale imprescindibile, esso fa da tramite tra la proiezione verticale - risolta per sovrapposizione di piani dai tracciati segnici simili a quelli del parterre – e l'ambiente plastico creato a terra, attraverso l'elemento ponte che ne assicura la continuità. Ma è il piano obliquo di questa struttura verticale ad alludere, proiettandosi al di là, oltre il limite del fondalino/parete della galleria, allo sviluppo ulteriore, infinito, oltre l'oltre, dello spazio Zen costruito dall'artista come luogo per esercitare la mente.
In esso, tuttavia, malgrado in ogni poesia Haiku sia costante la presenza di un Kigo – una parola o situazione che faccia riferimento ad una delle quattro stagioni – non si rilevano indicazioni sul trascorrere del tempo. Il suo bianco territorio pieno del vuoto, privo di quelle indicazioni sul contingente che mutano l'aspetto del paesaggio, diventa per questo luogo ideale, spazio eccellente al di fuori di ogni tempo, adatto a quella riflessione e meditazione necessari a ridare senso e giusto significato alle cose riequilibrandone i valori.
La musica che accompagna l'evento espositivo corrisponde al brano Distant Hill di Brian Eno tratto dall'album Sound Ambience, edizione del 1999.
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