ALESSANDRA PORFIDIA: ovvero della dissimulazione e della non solo apparenza
A cura di: Ivana DìAgostino
Visitare lo studio di Alessandra Porfidia vuol dire stabilire immediatamente un impatto diretto con l’essere e l’apparire della scultura. La forma possente, volumetrica, la sodezza plastica che si rivelano con eccezionale evidenza nelle sue sculture, intendono dichiarare all’istante la loro diretta filiazione dalle radici più autentiche della grande tradizione monumentale della scultura in marmo, pietra e bronzo. Tuttavia è proprio lei, l’artista, dotata di una chiarezza esemplificativa dei propri intenti di una lucidità a dir poco cosa rara, a spiegare subito di quali materie sia spesso costituita l’anima delle sue sculture e del come, a contrasto della loro apparenza non di rado imponente, la forma impliciti al suo interno il vuoto.
La Porfidia gioca costantemente con perizia magistrale nell’arte di dissimulare il corpo della scultura. Il polistirolo da lei usato per Torso del ’97, per Teatro del Corpo 4 e Teatro del Corpo 6, entrambe opere del ’96, predispone l’idea della forma scultorea realizzata con questo materiale ad una estensione di superfici mai interrotte, là dove sia i margini che le superfici si costituiscono come vincoli di appartenenza di realizzazioni plastiche basate sull’economia della forma. Ma la forma, una volta costituita dall’artista nella resina sintetica del polistirolo in tutta la sua apparenza plastica, dissimula la scarsa consistenza di questo materiale piuttosto leggero, con l’uso di tutti quei processi di lavorazione delle superfici, di realizzazione di patine, che sono alla base della grande tradizione scultorea. Questo modo di realizzare la forma è tuttavia lontano sia dalla spettacolarizzazione dell’arte che dallo scenografismo scultoreo. La Porfidia usa le materie plastiche e il cemento come ulteriori opportunità estensive dello sperimentare, per accrescere al massimo la tensione delle linee e le possibilità d’indagine e dilatazione della forma. Come avviene in Teatro del Corpo 1 del ’96, opera realizzata in cemento, dove la ricostituzione della forma tridimensionale dalla sconnessione in tasselli della matrice in gesso, ottenuta a sua volta dal modello in creta, assume il senso di vera nascita della scultura con un nuovo materiale. Ma non basta. La scultrice già dal ’95 lega la propria ricerca plastica allo studio sul segno.
La forma si accresce quindi d’interventi pittorici il cui senso è stabilire una connessione dialettica tra la fisicità scultorea e la tensione psichica del gesto segnico. Ecco allora che la dissimulazione dell’incoerenza del corpo interno della scultura, realizzato con materiale dissimile dalla sua apparenza, con la lavorazione delle superfici patinate, trattate secondo i modi della grande tradizione plastica, di cui si è detto, si accresce di ulteriori apparenze fatte di gestualità segnico-pittoriche fortemente legate ad una serie di bozzetti (di cui alcuni sono in mostra) che le prevedono, e che non casualmente, si legano alle sculture del ciclo del Teatro del Corpo.