GRAZIELLA REGGIO: Da fonte di acqua bruna
A cura di: Loredana Rea
Muovendo inizialmente nei territori di confine, contaminazione e tangenza tra scultura e installazione, la ricerca di Graziella Reggio si è venuta fondando sull’analisi di nodi tematici quali, da un lato, la presenza/assenza del soggetto, dall’altro la rappresentazione simbolica dell’idea della trasformazione che lega il tempo come elemento intrinseco alla materia, in opere/reperto che trattengono l’impronta e il segno di fisicità ed emotività, cultura e storia, economia e sociologia, privilegiando l’uso di materie povere, tela, fango, cera, canne. Negli anni successivi, le installazioni introducono nello spazio la relazione tra la fenomenologia dell’immagine fotografica e la qualità della materia altra, ovvero tra stati/situazioni/concetti, fondata su coppie oppositive concreto/astratte, quali dynamis vs. stasis, vita vs. morte, e in cui la consistenza stessa dell’io si dissolve nell’energia e nel dinamismo della materia. Per giungere infine alle installazioni costruite esclusivamente con materiali fotografici posti in relazione linguistico/semantica a costituire le frasi di un articolato e complesso “discorso”, in cui interagiscono confermandosi tutti i temi fondanti che connotano fin qui la ricerca di Graziella Reggio.
La “battaglia fluviale” (Iliade, libro XI, versi 157-264) - da cui è tratta la citazione che intitola questa Personale romana di Graziella Reggio – costituisce al tempo stesso l’incipit remoto, l’archetipo, ed il motivo dominante - la perturbante “calma minacciosa” – di una riflessione etico-estetica sulla contemporaneità condotta attraverso la trasformazione simbolica dello spazio, per fragmenta imaginis, in un bacino di acqua bruna, torbida, intrappolata dal cemento, da strutture e macchinari portato dell’azione dell’uomo, in tensione con una terra bruna, limacciosa, su cui si compie l’effetto della violazione della natura. Apparentemente il soggetto che si rappresenta per fragmenta nelle fotografie di Graziella Reggio - ordinate lungo le due pareti parallele secondo un andamento orizzontale dello sguardo messo in continuo scacco da un intrinseco criterio di continuità/discontinuità della rappresentazione, che trova il suo punto focale nella verticalità dell’allestimento della parete di fondo - è una porzione limitata di paesaggio fluviale, laddove, essendo ciò che chiamiamo paesaggio una costruzione culturale, non è dato paesaggio che non sia cultura, cioè economia e storia. La presenza/assenza del soggetto-uomo, cioè di economia e storia, è qui data attraverso un doppio procedimento di sottrazione e suggestione, misurandosi da un lato per inferenza dall’impatto delle conseguenze della sua azione fuori dello spazio dell’installazione, intuendosi dall’altro come lo sguardo critico che organizza e guida dall’interno la valenza semantica delle sequenze di materiali fotografici. Su tutto pesa la sospensione e il silenzio della perturbante “calma minacciosa” che segna l’attesa dell’evento – la “furia dello Scamandro” e la distruzione dell’uomo e del suo paesaggio.
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