08/04/2010  al 23/04/2010

Salvatore Giunta - Sculture D’ombra

Salvatore Giunta - Sculture D’ombra Salvatore Giunta ha progettato un’installazione complessa eppure minimale. Una forma geometrica apparentemente semplice, ma strutturalmente articolata si relaziona con l’ambiente spaziale che la circonda,
SALVATORE GIUNTA
Sculture d’ombra
 
 
Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo…
Dante, Il Paradiso, II 49-50
 
Il mito platonico della caverna è posto all’origine della teoria della rappresentazione cognitiva. Ne La Repubblica il filosofo greco immagina l’uomo primigenio prigioniero di una grotta che non può vedere altro se non le ombre della realtà esterna proiettate sulla parete di fondo. Soltanto liberandosi delle catene che lo immobilizzano e volgendo lo sguardo verso la luce del sole potrà accedere alla vera conoscenza, scoprendo i limiti tra il mondo delle apparenze e il mondo del reale.
Al dualismo apparenza/realtà è ricollegabile anche un altro dei miti fondativi della nostra cultura. Nella Naturalis Historia Plinio il Vecchio, infatti, rintraccia le radici dell’arte nel momento in cui un uomo riesce a circoscrivere con una linea l’ombra di un altro essere umano, cosicché la pittura e poi la scultura fanno la loro comparsa in negativo, come materializzazione della proiezione di un corpo e non del corpo stesso. L’ombra, quindi, segna simbolicamente le origini della rappresentazione occidentale e racchiude intrinsecamente la dialettica tra assenza e presenza.
Intorno a questa problematica Salvatore Giunta ha progettato, con la grande raffinatezza che lo caratterizza, un’istallazione sottilmente poetica nel suo assoluto minimalismo. Una forma geometrica apparentemente semplice, ma strutturalmente articolata si relaziona con l’ambiente che la circonda, proiettando sulle pareti una serie di ombre: alcune create attraverso un sapiente gioco di luci, altre tracciate sul muro con un segno di matita sottile, prezioso come un antico calligramma, eppure incisivo come una rasoiata. Il proposito è quello di mettere a punto una partitura visuale, orchestrata su segni tridimensionali e bidimensionali, a sostenere l’equivalenza concettuale degli uni e degli altri, che sviluppandosi progressivamente diventano aperti e contemporaneamente chiusi, per disegnare geometrie e volumi. Giunta, infatti, costruisce forme geometriche logiche, che possano comporsi per creare volumi, materializzando l’intersezione di alcuni dei differenti piani che si sviluppano nello spazio, a provocare improbabili eppure possibili equilibri.
La struttura triangolare si presenta come un volume aperto e pronto a trasformarsi sotto il nostro sguardo. È riportata sulla parete, che diventa parte integrante del lavoro e deve essere intesa non solo come schermo su cui riprodurre i contorni della scultura, ma come superficie su cui svilupparla ulteriormente, accordandosi al ritmo di una metrica cromatica giocata sulla scala dei grigi, per innescare una concatenazione di rimandi visuali, che da una parte sembrano voler chiarire la forma di partenza, ma da un’altra sembrano volerla rendere più ambigua. Come in un gioco di specchi, infatti, l’artista crea una serie di spiazzamenti percettivi tra la struttura plastica originaria e i suoi riflessi, avviando una ricercata dialettica tra realtà e illusione, tra presenza e assenza, tra semplice e complesso. Nello spazio della galleria l’elementare geometria della forma originaria sembra svilupparsi all’infinito, seguendo uno schema prestabilito che moltiplica le linee e allude a nuovi volumi, seguendo un’orchestrazione concettuale via via più articolata, sebbene basata su elementi semplici.
L’intento è di far dialogare il pieno e il vuoto, dove il primo diventa il secondo e viceversa, ed entrambi sono mobili e interscambiabili, mentre il risultato è l’inevitabile annullamento della fisicità della scultura, per esaltarne però la struttura primaria e la matrice esclusivamente mentale.
 
 
 
 

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