Silvana Leonardi. METARITRATTI IN FORMA DI BEATLES
A cura di: Mario Lunetta
Attraverso le icone dei Beatles e una strategia straniante e ambigua, apparendo la sua immagine come la vera coscienza critica dei quattro musicisti, Leonardi, reduce da numerose esperienze internazionali, attua un’ operazione metafisica di forte spessore pittorico, fermezza e vigore esecutivi.
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Silvana Leonardi espone 5 opere recenti (2014/15) dipinte a olio su tela. Come scrive in catalogo Mario Lunetta: “In questo quartetto di icone dei Beatles a loro modo iconoclaste l’artista romana, segnata in positivo da tutta una serie di esperienze internazionali, attua una strategia straniante e ambigua, dal momento che la sua immagine (che sembra fare il verso alle icone di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr) appare dalla parete di fondo della galleria come la vera coscienza critica dei quattro musicisti. “ Non si tratta dunque di un sia pur irrituale omaggio quanto piuttosto di una sorta di cannibalizzazione ai limiti di una paradossale, laica e a tratti blasfema, transustanziazione consumata in nome della pittura da parte dell’ artista già avvezza a questa operazione (Garbo, Mozart, Artaud, Madonna…). Nel suo lavoro, scrive ancora Lunetta” Leonardi pratica una sorta di metaritratto allegorico, non è quindi interessata a intrattenere con l’immagine-mito un rapporto di complicità, ma semmai a leggere nei volti ritratti possibili somiglianze, ovviamente interrogative, col proprio volto, in una sfida sempre ad alto rischio. Somiglianze destinate a produrre altre catene di enigmi solo in piccola parte risolvibili nel cerchio stretto di un’esecuzione infallibilmente magistrale in cui il côté figurativo è invaso da una sorta di astrazione non detta, fatta di magnetismo chimerico. Un tasso insinuante di crudeltà presiede a queste operazioni: e si sa quanto la crudeltà sia determinante tutte le volte che si operi con un linguaggio che non si preoccupa della descrizione ma del rigore del montaggio. Si tratta quindi di un’operazione metafisica di forte spessore pittorico, vigore materico e fermezza esecutiva applicata ancora una volta, con imperterrito impegno e freschissima novità espressiva, a macrosimboli della postmodernità, in cui l’energia di un’intelligenza professionale altissima si affianca ad una qualità dell’esecuzione semplicemente eccezionale.”
Silvana Leonardi: quando il tempo è un’icona mobile
Mario Lunetta
Accademia Platonica, 11 novembre 2015
In linea di massima il pittore impegnato in un ritratto tratta il volto e la postura del modello come qualcosa di analogo a una mappa geologica, fin quasi a riflettere su di essi una sorta di stream of consciousness che abbia il potere di avvolgere il soggetto in un’aura di almeno relativa unicità. Altra operazione che compie sul ritrattato un artista fortemente consapevole, il quale mira a intrattenere col soggetto un rapporto dialettico che finisce con l’interrogare l’immagine come un’entità non passiva, qualcosa insomma di molto simile a ciò che Lacan chiama stade du miroir, grazie al quale l’artista scopre man mano che avanza nella sua esplorazione un modo di riscoprire se stesso.
Per Silvana Leonardi, che fa perentoriamente parte di questa seconda fascia di artisti, il punto di vista è necessariamente ancora diverso. Per il suo lavoro, che da tempo si accentra su certi volti-icone emblematici del successo di massa tra modernità e postmodernità, si potrebbe addirittura parlare di pratica del metaritratto allegorico. L’artista romana, segnata in positivo da tutta una serie di esperienze internazionali, non è quindi interessata a intrattenere con l’immagine-mito un rapporto di intesa, ma soprattutto a leggere nei volti presi in considerazione attrattivo-critica certe possibili somiglianze col proprio volto, in una sfida sempre ad alto rischio. Somiglianze interrogative, ovviamente. Somiglianze destinate a produrre altre catene di enigmi solo in piccola parte risolvibili nel cerchio stretto di un’esecuzione infallibilmente magistrale in cui il côté figurativo è invaso da una sorta di astrazione non detta, fatta di magnetismo chimerico.
Un tasso insinuante di crudeltà presiede a queste operazioni: e si sa quanto la crudeltà sia determinante tutte le volte che si operi con un linguaggio che non si preoccupa della descrizione ma del rigore del montaggio. Così, anche in questo quartetto di icone dei Beatles a loro modo iconoclaste, la strategia di Leonardi è straniante e ambigua, dal momento che la sua immagine (che sembra fare il verso alle icone di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison, Ringo Starr almeno a livello dell’acconciatura) appare dalla parete di fondo della galleria come la vera coscienza critica dei quattro musicisti che si presentano come portatori di uno stupore irrisolto.
Un ritratto “falsato” dell’artista? Una serie di ritratti in absentia per interposta persona?
Piuttosto, si direbbe, uno sguardo rivolto allo spettatore con severità non priva di calore anche per sottolineare – oltre al fenomeno socio-consumistico costituito per l’intero decennio Sessanta del secolo scorso dal quartetto di Liverpool – il carattere fascinoso eppure sostanzialmente conservatore del loro fare melodico. Fatto è che in queste straordinarie tele a olio di Leonardi il ruolo giocato dagli occhi e dalle labbra, nei volti sempre in close up fino a occupare tutto lo spazio, è decisivo. I volti guardano sapendo di essere guardati, e in questo rapporto c’è qualcosa di aggressivo (e insieme di funereo) nei confronti del riguardante. Ecco allora che la forza degli occhi, che sono il fulcro pittorico di una sola immagine moltiplicata per quattro, diventa centrale e – nel suo vuoto – carico di un senso in cerca di se stesso.
Queste icone, nella loro fermezza, sembrano avere fame di se stesse. Silvana segna senza rispetto i loro volti e quello di sé medesima non della banalità delle rughe, ma della precarietà della materia pittorica – quasi che si trattasse di reperti sottratti alla distruzione del tempo. Un’operazione metafisica applicata alla postmodernità, di questo alla fine viene a trattarsi. L’energia di un’intelligenza professionale altissima applicata à toujours alla fragilità del corpo umano e del corpo della pittura. La qualità dell’esecuzione è semplicemente eccezionale, proprio in virtù della sua allure fermissima di “non finito” definitivo. La capacità introspettiva dell’artista procede con la libertà di una percezione profonda della rumorosa banalità dell’epoca che è ancora nostra e lo è sempre meno, e il suo fissaggio intransigente è al contempo capace di duttilità strepitose, di accensioni di stile che annullando tutto lo scenario precedente hanno la forza di prefigurare il successivo, bloccandolo in uno statuto cinetico che dilata lo stesso spazio fisico della tela. Tutto ciò sta a significare come – per una vitalità che contiene la propria estasi e la propria estinzione – l’eccellenza antiaccademica dell’esecuzione sia anche un’esecuzione metaforica sì, ma mortale.
E’ questo un carattere della grande pittura, che ha sempre la forza di creare tutta una rete di contraddizioni interne che coincidono con la sua complessità. Quanta curiosità in quegli sguardi. Quanta avidità di vita truccata da stupore. Silvana risponde con un gioco cromatico che si stende per dilatazione misteriosa tra vigore materico e fermezza esecutiva: un gioco al tempo stesso spigoloso e ricco di sfumature significanti, anche al di là delle crepe sottili (quando non aspre come ferite) che danno sapore di antichità contemporanea a quei volti-icone, in una forte prevalenza dei toni scuri sui toni chiari.
Come ho poco sopra accennato, il rito involontario dell’ambiguità, che è da sempre uno degli stemmi centrali di Silvana e caratterizza tante notevolissime riuscite di anni ormai lontani (Mozart, Greta Garbo, Marlene Dietrich, e via e via), torna ancora in questa serie di opere recenti cm 100x100 (2014-15) anche nel valore dei dettagli che non funzionano come aggiunte decorative o momenti di alleggerimento rispetto all’ossessività dell’immagine, ma ne sono parte assolutamente costitutiva. Chi sono allora questi ritratti dell’assenza tremendamente sonora? Queste, si direbbe,figurazioni Fayyūm rimesse in pista nel nostro oggi che ha altre mitologie e insegue altre magie non meno bugiarde di quelle tolemaiche? Icone pop del consumo di massa? Luoghi del rimorso? Fantasmi della rimozione? Sono magari, probabilmente, momenti di misteriosa aggressività en travesti dietro (o dentro) cui si celano le nevrosi, le passioni, le memorie di un’artista di inossidabile talento che da sempre, con imperterrito impegno e e freschissima novità espressiva, continua a richiamare in vita – perfino violentemente – certi macrosimboli della postmodernità più massivamente celebrata, in cui prima di tutto specchiare se stessa secondo una strategia a suo modo accanita di ieri-oggi-domani.
Il catalogo METARITRATTI IN FORMA DI BEATLES in formato sfogliabile è visibile alla pagina:
http://www.sfogliami.it/flip.asp?sc=vv2jtmjctlzcemvks65fntx7fdzbksde&ID=126698#page/1