21/02/2017  al 10/03/2017

Silvio D’Antonio "Variazioni: continuità della trama"

A cura di: Massimo Bignardi

Silvio D’Antonio  "Variazioni: continuità della trama"
La rassegna “Corrispondenze assonanti”, curata da Massimo Bignardi, propone le esperienze di quattro artisti italiani che da tempo, in piena autonomia, lavorano sul valore di piano e di superfice che a volte diviene anche quella del frammento. Si tratta di Silvio D’Antonio che propone le sue Variazioni rilevando in esse corrispondenze con le liriche geometrie che cifravano le sue opere dei primi anni settanta; di Angela Rapio, la più giovane che con le sue ‘Scritture strappate’ tratte dal ciclo carte fossili propone il rapporto tra superfice e frammento, tra scrittura e immagine. Seguono le città di Giuseppe di Muro: le sue lastre in ceramica raku parlano di progetti di una terra archetipa, nascosta nel nostro desiderio di città. Infine le trasparenti sequenze pittoriche di Mario Lanzione che, con la mostra dal titolo Carte, trasparenti filtri delle emozioni ci riporta al piano, alla sua capacità di farsi, attraverso la trasparenza di carte veline, spazio dell’inesprimibile. «Una rassegna, avverte Bignardi, che non ha margini di chiusura, comparti stagni dove ciascun artista conserva il suo ‘monologo’. Anzi spinge verso i margini di un contatto, di un corto circuito tale da rendere l’assonanza un vero accordo, cioè la misura di un dialogo».


Variazioni: continuità della trama
Massimo Bignardi
Sono esperienze interessate all’acquisizione immaginifica dell’oggetto, presente, nella sua essenza di corpo, nel testo narrativo del quotidiano, quelle che fanno da sfondo agli anni di formazione, presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, di Silvio D’Antonio. Un “oggettualismo”, in parte guardato attraverso i registri di matrice concretista segnati sia dalle esperienze di Renato Barisani, sia da quelle di Ciro Pica. Di quest’ultimo, artista salernitano in quegli anni trasferitosi a Venezia, D’Antonio aveva frequentato l’atelier nei primi anni sessanta,  sollecitato da un’evidente volontà di non disperdere traccia di un lirismo che resterà cifra indelebile della sua ‘pittura’. L’attenzione di D’Antonio era rivolta proprio all’idea dell’oggetto come esperienza di un processo costruttivo che, al contempo, metteva in moto una pratica di partecipazione ludica, di forte richiamo autobiografico.
Una traccia ben evidente nei lavori presentati in occasione della mostra la “Nuova generazione” organizzata nell’ambito della X Quadriennale di Roma del 1975, alla quale è invitato da Enrico Crispolti, con altri artisti salernitani che ruotavano nell’ambito dello spazio Taide di Mercato San Severino.
In questa mostra romana, Silvio D’Antonio propone un rapido percorso della sua esperienza artistica. Riprende la trama di quelle geometrie che furono alla base delle sue ‘smarginazioni’ pittoriche, chiamando in campo altri materiali nonché il ‘corpo’ dell’oggetto. In quei primi anni settanta la pittura accoglieva il vitalismo che l’onda ‘concettuale’ trasmetteva, consentendo diversi approcci a quello che restava dell’immagine sul foglio o sulla tela.
Nel tempo D’Antonio ha insistito su tale trama compositiva, depurandola di ogni residuo formale per indirizzarla, come testimoniano le opere realizzate in questi ultimi anni, verso il carattere di composizioni che, se pur nutrite dalla geometria, trovano nei vari e molteplici materiali una rinnovata vitalità ‘espressiva’.
I materiali sono quelli che popolano la sfera industriale, soprattutto plexiglass, lastre di acciaio, legni trattati, con i quali l’artista apre un dialogo o, meglio, riapre la trama di uno spazio che ora è articolato da piani invasi da riflessi della realtà. Silvio  non è interessato alla consistenza della materia o del materiale, tanto meno al dialogo che esse intrattengono o possono intrattenere con il tempo. L’interesse si sposta a sondare la sfera emotiva, dettata dalle suggestioni immaginative che essa offre alla percezione mediante l’asperità o meno  della superficie.
L’artista, come ho avuto già modo di rilevare, nelle opere di questi anni ha messo da parte la fredda distanza ‘concettuale’: il desiderio è ora quello di far emergere la propria personalità dalla omologante ‘molteplicità’ che connota l’attuale scena dell’arte.
 
 

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