SPAZIALITA’ RITMICHE Segni, forme, materie
A cura di: Loredana Rea
Ad unire la ricerca di Mario Glauso, Silvio Marchese, Salvo Russo e Nicola Zappalà, quattro artisti diversi per scelte linguistiche ed esiti progettuali, è un’analoga concezione dello spazio, inteso come elastico, tanto che può essere scavato e frantumato, incurvato e piegato, spezzato e ricomposto, sottratto e virtualmente costruito da segni e forme propriamente plastici o pittoricamente materici.
Lo spazio è concepito, infatti, come architettura complessa eppure minimale, che si misura continuamente con i propri limiti, come a suggerire che le coordinate del suo fisico sviluppo sono dialetticamente correlate al superamento dell’idea di una dimensione continua e finita. Un’architettura aperta, che si presenta come immagine tangibile della dinamica discontinuità del reale, percepito come possibilità di oltrepassare la mutevole compiutezza dell’apparenza e raggiungere l’incessante diversità dell’infinito, e, soprattutto di esprimere l’insanabile dicotomia tra il qui e l’oltre, tra la presenza e l’assenza, tra il fenomeno e il noumeno.
Ma il reale in questo spazio, che non è luogo logico-razionale, di deduzione geometrica, quanto piuttosto concentrazione di esperienze al contempo fisiologiche e psicologiche, si presenta sospeso, pietrificato, inquietantemente silenzioso, talvolta appena percettibile, a tradire una ineffabile provvisorietà, una fragilità sublime. Come se attraverso l’opera, l’artista realizzasse un effimero dissolvimento della ciclicità del mondo e della sua storia, una momentanea interruzione del divenire delle cose, tanto che essa si presenta non più come semplice materializzazione della relazione con lo spazio, bensì come coscienza dello spazio e del suo organico e continuo trasformarsi di materia in materia, di energia in energia.
Nelle opere di Glauso, Marchese, Russo e Zappalà lo spazio, costruito quindi come simbolica cerniera tra una dimensione fisica e una dimensione mentale, è sapientemente articolato e ritmicamente scandito dall’uso di segni, forme e materie, a creare un legame indissolubile tra l’indeterminatezza dell’infinito e la finitudine della realtà quotidiana. I segni, pittorici o plastici, si pongono, infatti, come emblematici frammenti di una quotidianità che si frantuma nella totalità dello spazio. Le forme, rigorosamente chiuse in una misurata solennità oppure studiatamente aperte, come scavate da una sorprendente aerea permeabilità, sono la momentanea cristallizzazione del continuo divenire. Mentre l’uso di differenti materie, che spaziano dal colore al legno, dalla corda al metallo, dalla pietra alla terracotta, rappresentano in ultima analisi la presenza irriducibile della realtà fenomenica, sia pure nella vulnerabilità delle sue manifestazioni.
I segni, le forme e le materie, sebbene rappresentino per tutti e quattro gli imprescindibili elementi per la costruzione di una dimensione, intesa come limite tra il visibile dello spazio finito e l’insondabile incompiutezza dello spazio infinito, mostrando la loro intrinseca natura, inevitabilmente finiscono per condurre ogni artista a perseguire obiettivi diversi, così da connotare inequivocabilmente la particolare individualità di ogni singolo percorso di ricerca. Un percorso che per tutti si snoda lungo un tracciato che, pur avendo come radice e inevitabile punto di arrivo la riflessione sullo spazio, si articola intorno a contesti differenti, a cogliere tra le sperimentazioni linguistiche e metodologiche le infinite declinazioni della contemporaneità.
Lo spazio è concepito, infatti, come architettura complessa eppure minimale, che si misura continuamente con i propri limiti, come a suggerire che le coordinate del suo fisico sviluppo sono dialetticamente correlate al superamento dell’idea di una dimensione continua e finita. Un’architettura aperta, che si presenta come immagine tangibile della dinamica discontinuità del reale, percepito come possibilità di oltrepassare la mutevole compiutezza dell’apparenza e raggiungere l’incessante diversità dell’infinito, e, soprattutto di esprimere l’insanabile dicotomia tra il qui e l’oltre, tra la presenza e l’assenza, tra il fenomeno e il noumeno.
Ma il reale in questo spazio, che non è luogo logico-razionale, di deduzione geometrica, quanto piuttosto concentrazione di esperienze al contempo fisiologiche e psicologiche, si presenta sospeso, pietrificato, inquietantemente silenzioso, talvolta appena percettibile, a tradire una ineffabile provvisorietà, una fragilità sublime. Come se attraverso l’opera, l’artista realizzasse un effimero dissolvimento della ciclicità del mondo e della sua storia, una momentanea interruzione del divenire delle cose, tanto che essa si presenta non più come semplice materializzazione della relazione con lo spazio, bensì come coscienza dello spazio e del suo organico e continuo trasformarsi di materia in materia, di energia in energia.
Nelle opere di Glauso, Marchese, Russo e Zappalà lo spazio, costruito quindi come simbolica cerniera tra una dimensione fisica e una dimensione mentale, è sapientemente articolato e ritmicamente scandito dall’uso di segni, forme e materie, a creare un legame indissolubile tra l’indeterminatezza dell’infinito e la finitudine della realtà quotidiana. I segni, pittorici o plastici, si pongono, infatti, come emblematici frammenti di una quotidianità che si frantuma nella totalità dello spazio. Le forme, rigorosamente chiuse in una misurata solennità oppure studiatamente aperte, come scavate da una sorprendente aerea permeabilità, sono la momentanea cristallizzazione del continuo divenire. Mentre l’uso di differenti materie, che spaziano dal colore al legno, dalla corda al metallo, dalla pietra alla terracotta, rappresentano in ultima analisi la presenza irriducibile della realtà fenomenica, sia pure nella vulnerabilità delle sue manifestazioni.
I segni, le forme e le materie, sebbene rappresentino per tutti e quattro gli imprescindibili elementi per la costruzione di una dimensione, intesa come limite tra il visibile dello spazio finito e l’insondabile incompiutezza dello spazio infinito, mostrando la loro intrinseca natura, inevitabilmente finiscono per condurre ogni artista a perseguire obiettivi diversi, così da connotare inequivocabilmente la particolare individualità di ogni singolo percorso di ricerca. Un percorso che per tutti si snoda lungo un tracciato che, pur avendo come radice e inevitabile punto di arrivo la riflessione sullo spazio, si articola intorno a contesti differenti, a cogliere tra le sperimentazioni linguistiche e metodologiche le infinite declinazioni della contemporaneità.