Teresa Pollidori “Attraversare il tempo sospeso”
A cura di: Loredana Rea
Lo scatto è rielaborato attraverso un complesso processo di scomposizione e ricomposizione, con una metodologia operativa di matrice pittorica, sebbene inevitabilmente digitalizzata, per restituire l’immagine completamente artefatta, frutto di una articolata elaborazione mentale
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Testo di Loredana Rea
Come le note lievi di una melodia familiare, il silenzio attraversa lo spazio e lentamente si insinua in ogni interstizio, colmando di sé gli ambienti esplorati dallo sguardo, per restituire la fragranza di un turbamento sottilmente pervadente, che sebbene custodito profondamente affiora alla superficie.
Tutto appare ammantato di una densità inquietante e sospeso in un tempo senza tempo con un ricercato meccanismo intellettuale, che lascia affiorare le suture strutturali di un linguaggio rarefatto, in cui l’emozione si occulta dietro la vertigine di automatismi mentali.
La serie di lavori, che Teresa Pollidori ha realizzato per questa nuova personale, punto di arrivo di una ricerca avviata da poco più di un decennio, si svelano lentamente, sciogliendo le ricercate ambiguità di lettura in una catena di rimandi che, come eco persistente, accompagnano la comprensione delle immagini in un percorso labirintico, dominato dall’esigenza di una fertile contaminazione tra l’uso della fotografia e una riflessione sulle ragioni della pittura.
L’una si rispecchia nell’altra, annullando reciprocamente i limiti legati alla specificità degli strumenti espressivi, per rafforzare il portato concettuale di entrambe.
Allora i luoghi esplorati con l’obiettivo fotografico e rielaborati attraverso un complesso processo di scomposizione e ricomposizione, in cui l’artista sottrae e aggiunge, rilegge e trasforma, con una metodologia operativa di matrice pittorica, sia pure inevitabilmente digitalizzata, si offrono allo sguardo come il risultato di una processualità che si interroga continuamente sulla relatività della percezione ottica e sulla fisicità delle esperienze.
Cancellata ogni spontaneità, come se ogni accordo cromatico, ogni linea, ogni forma fossero esclusivo frutto di un’elaborazione mentale, capace di trasformare in artificio la naturalità, Pollidori costringe l’immagine in un’impaginazione che, annullando i riferimenti relativi a un prima e un dopo, a un vicino e un lontano, raggela il fluire dell’esistenza in un’atmosfera metafisica. Isola le figure avvolgendole in una luminosità senza splendore, che satura la stanza, svuotata di ogni soffio di vita e scava silenziosamente l’intimità di uno spazio attraversato e vissuto, fino a lasciare emergere un’assolutezza, inaspettata e spiazzante, per infrangere il ritmo del tempo in una sospensione in bilico sull’infinito e rivelare la pervadente solitudine, che caratterizza il tempo presente.
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Testo di Loredana Rea
Come le note lievi di una melodia familiare, il silenzio attraversa lo spazio e lentamente si insinua in ogni interstizio, colmando di sé gli ambienti esplorati dallo sguardo, per restituire la fragranza di un turbamento sottilmente pervadente, che sebbene custodito profondamente affiora alla superficie.
Tutto appare ammantato di una densità inquietante e sospeso in un tempo senza tempo con un ricercato meccanismo intellettuale, che lascia affiorare le suture strutturali di un linguaggio rarefatto, in cui l’emozione si occulta dietro la vertigine di automatismi mentali.
La serie di lavori, che Teresa Pollidori ha realizzato per questa nuova personale, punto di arrivo di una ricerca avviata da poco più di un decennio, si svelano lentamente, sciogliendo le ricercate ambiguità di lettura in una catena di rimandi che, come eco persistente, accompagnano la comprensione delle immagini in un percorso labirintico, dominato dall’esigenza di una fertile contaminazione tra l’uso della fotografia e una riflessione sulle ragioni della pittura.
L’una si rispecchia nell’altra, annullando reciprocamente i limiti legati alla specificità degli strumenti espressivi, per rafforzare il portato concettuale di entrambe.
Allora i luoghi esplorati con l’obiettivo fotografico e rielaborati attraverso un complesso processo di scomposizione e ricomposizione, in cui l’artista sottrae e aggiunge, rilegge e trasforma, con una metodologia operativa di matrice pittorica, sia pure inevitabilmente digitalizzata, si offrono allo sguardo come il risultato di una processualità che si interroga continuamente sulla relatività della percezione ottica e sulla fisicità delle esperienze.
Cancellata ogni spontaneità, come se ogni accordo cromatico, ogni linea, ogni forma fossero esclusivo frutto di un’elaborazione mentale, capace di trasformare in artificio la naturalità, Pollidori costringe l’immagine in un’impaginazione che, annullando i riferimenti relativi a un prima e un dopo, a un vicino e un lontano, raggela il fluire dell’esistenza in un’atmosfera metafisica. Isola le figure avvolgendole in una luminosità senza splendore, che satura la stanza, svuotata di ogni soffio di vita e scava silenziosamente l’intimità di uno spazio attraversato e vissuto, fino a lasciare emergere un’assolutezza, inaspettata e spiazzante, per infrangere il ritmo del tempo in una sospensione in bilico sull’infinito e rivelare la pervadente solitudine, che caratterizza il tempo presente.