STEFANO TRAPPOLINI: Tutto il cielo possibile
A cura di: Loredana Rea
La sapienza antica ha individuato da millenni le relazioni misteriche e ancestrali tra il corpo umano e il firmamento celeste, tra lo zodiaco e i nostri organi, il rapporto di rispecchiamento tra il Macrocosmo e il Microcosmo dove le proporzioni delle membra, la loro disposizione e la loro armonia non sarebbero altro che il riverbero terreno della perfezione dell’universo e delle sue orbite. Stefano Trappolini appare consapevole dell’antica affermazione ermetica che stabilisce l’identità tra il superiore e l’inferiore, tra la conformazione dell’organismo umano e i meccanismi del cielo, e, forse non inconsapevolmente, ha creato un’installazione dove i corpi e le stelle dialogano e dove la presenza della pittura perde molte delle sue caratteristiche tradizionali per raggiungere una soglia assoluta che comunica volutamente con il video affidando all’elemento impalpabile della luce le coordinate percettive della sua presenza.
Trappolini ha raggiunto questi risultati attraverso una lunga e complessa opera di sublimazione, in un percorso partito da una materia densa e incombente, dalla spessa stratificazione di gesso, di bende e di grumi cromatici, passato poi attraverso un lavoro sulle incisioni luminose che emergono dalla superficie del supporto, dalle sue ferite e dalle sue slabbrature come lampi che segnano le asperità di una terra impervia e corrosa, per raggiungere infine una completa dimensione immateriale, dove ogni asperità si annulla nel fluido e incorporeo flusso della ripresa e della manipolazione elettronica, nella successione “liquida” (o aeriforme) dei pixel.
Analogamente, l’artista ha deciso di riscoprire l’essenza “ascetica” della pittura, rappresentando un cielo quasi invisibile dove le stelle emergono dal supporto trasparente imprimendosi come riverberi appena accennati di uno splendore universale, come echi che costruiscono l’immagine inafferrabile di costellazioni mutate in codici ordinatori, nei sistemi cosmici che regolano le architetture della visione, gli edifici astratti di una percezione posta sul crinale incerto che separa la crisi dalla rinascita. Trappolini fonda dunque la sua opera sul linguaggio simbolico e assoluto della leggerezza, sulle proiezioni di una corporeità umana che cerca di perdere il suo peso per raggiungere una qualità aerea e quasi spirituale. I segni fissi e icastici delle stelle si confrontano quindi con le immagini dei ragazzi in volo nei territori del vuoto, con queste figure divenute metafore di una ricerca diretta a costruire il luogo, solo apparentemente irreale, di un ambiente dilatato e “lattiginoso”. Le figure che si lanciano nello spazio astratto del bianco si trasformano pertanto nelle metafore di una navigazione, nella rappresentazione emblematica di orbite satellitari dove il microcosmo “inferiore” si spinge verso il limite delle sue possibilità concrete, fino al confine che lo separa dalla dimensione superiore dell’universo. L’artista, come un nuovo demiurgo, decide allora i tempi e le direzioni di queste orbite, rallentando o accelerando gli archi delle loro traiettorie, determinando la rapidità e la stasi dei loro movimenti. Grazie ad una precisa scelta di inquadratura, i ragazzi visti dal basso appaiono infine come il riflesso quasi titanico degli astri dipinti: i fotogrammi del video compongono una rappresentazione che scopre nei meccanismi cosmici la verità archetipa di una nuova proiezione spaziale, tracciando con rigorosa esattezza l’unico intreccio di segni da cui può scaturire l’enigma eterno del nostro cielo possibile.
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